"Chi parla è la persona non l'ammalato, ciò che la definisce non è la malattia, ma la propria storia. L'individuo rimane agganciato all'immagine di sé nel rapporto più corrispondente al proprio benessere"
(da "Il grande campo della vita" - F. Cavallari
Lindau 2011)
Non voglio essere monotematico e continuare a citare questo libro (peraltro molto bello e fonte di grandi spunti di riflessione), ma oggi è una ricorrenza: il compleanno di una cara amica.
Ed è a lei che dedico la citazione, e questa riflessione, perché deve combattere ogni giorno con la malattia ma - cosa che a mio parere più la sfianca - è obbligata a lottare per non essere definita tramite la malattia.
Questo succede troppo spesso: nel caso di malattia fisica, mentale, disagio sociale.
Anni fa (più o meno quando si prendeva il dinosauro al posto del tram) sostenendo un esame all'università scivolai su una definizione e, in una frase, definii il soggetto come "il tossicodipendente" ricevendo come risposta uno sguardo severo e accigliato del docente. Mi corressi immediatamente cambiando la mia frase con un più corretto "il soggetto affetto da tossicodipendenza" cercando di giustificarmi con il fatto che non ero solo uno studente, ma anche un operatore e quindi ero abituato ad usare termini 'poco accademici' perché facenti parte del linguaggio quotidiano.
Mi sbagliavo.
E di quell'esame ricordo solo questo aneddoto, null'altro mi è rimasto in mente. Quello è stato l'apprendimento più radicale.
Oggi difendo questo apprendimento non solo perché sono più maturo (e non uso più il dinosauro pubblico per recarmi in università) ma anche perché credo nella peculiarità della persona, dell'essere umano.
Nella mia pratica quotidiana l'insegnamento accigliato di quel docente (con il suo sguardo severo e nessuna parola in aggiunta) mi risuona costantemente nelle orecchie perché se davvero voglio entrare in una relazione autentica devo farlo con l'individuo e non con ciò che lo caratterizza come patologia, malattia, carenza, handicap o come altro lo si vuol chiamare.
La relazione educativa deve essere tra individui, tra soggetti portatori di valori e risorse, perché è attraverso queste che si può tentare di promuovere il cambiamento e migliorare il proprio stato di ben-essere. Altrimenti rischia di essere un legame sterile con un oggetto su cui è difficile intervenire.
Grazie alla mia amica che (molto più carina e accigliata di quel - non me ne voglia - arcigno docente) mi ricorda costantemente una lezione imparata tanto tempo fa.
E ovviamente auguri di buon compleanno!
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