martedì 27 novembre 2012

Occorre dare un senso

In ogni progetto, la prima cosa da fare è stabilire quale obiettivo si vuole raggiungere e con quali strumenti.
Un progetto, nella testa del suo ideatore, è sempre molto chiaro.
Ma purtroppo non è altrettanto chiaro nei beneficiari del progetto.
 
Come incipit può sembrare abbastanza confusivo ma, come per ogni buon progetto, nella mia testa tutto è molto chiaro.
Cerco di spiegarmi meglio: a quattro mesi dall'apertura di questo blog mi sono scontrato con alcuni aspetti che - ingenuamente - non avevo considerato.
Nella mia testa l'obiettivo di questo blog era decisamente inequivocabile: cercare e favorire scambi di pensiero in merito all'educazione.
La scelta di partire dalle mie esperienze professionali mi sembrava il miglior modo per "restare sul pezzo".
 
Nel corso delle riflessioni mi sono anche "affiliato" ad un gruppo su facebook nel quale si ragiona sull'educazione e su tutto ciò che vi ruota intorno.
Ed uno dei temi principali era il rischio dell'entrare nella rete. Con tutte le varie ed eventuali metafore e riflessioni che abbiamo utilizzato e su cui abbiamo lavorato.
 
Ecco: la rete, per un verso, mi ha ingabbiato!
Non me l'aspettavo ma così è stato.
 
Rimango però fedele ad uno dei miei principi: in educazione c'è sempre da imparare. E chi non lo sa non riconosce il vero valore dell'educazione e della pedagogia.
Quindi ho imparato dalla mia ingenuità, dalle mie mancanze e dalle restituzioni della rete, degli altri.
 
Ed oggi voglio rinnovare il senso di questo blog, che non è differente dal progetto che avevo in testa quando l'ho aperto.
Semplicemente mi sono ricordato (a forza) che la comunicazione è un concetto e un processo complesso, che il messaggio che si vuole inviare non viene sempre percepito nel modo in cui immaginavamo.
Perché il contenuto di ogni messaggio è strettamente connesso al presupposto dell'inviante ma non può prescidnere da quello del ricevente.
La buona fede è il mio punto di forza, l'ingenuità (a volte) il mio punto di debolezza.
Ma l'obiettivo mi è sempre chiaro.
"Labirinti pedagogici: dove educazione e pedagogia cercano nuove strade".

mercoledì 21 novembre 2012

Scemenza pedagogica

Ascolto il loro programma radio quasi tutti i giorni, non appena posso.
Apparentemente sono l'enfasi della scemenza, del non-sense, dello sberleffo. E fanno ridere per questo.
Ma qualche volta si mettono a parlare seriamente.
E lo fanno molto bene.
A chi capita, in questi giorni, di ascoltare Radio Deejay tra le 17 e le 18.30 sarà capitato di sentir parlare di "Casa Elisa", una casa di accoglienza che SOS Vilaggi del Bambini ha creato ad Atene e che ospita bambini tra i 2 e i 5 anni che hanno subito abusi di ogni tipo.
Ma Casa Elisa rischia di chiudere perché la crisi economica, che in Grecia si è fatta sentire più che in altri paesi, fa si che il governo non abbia più fondi per finanziare questa struttura.
E La Pina si è fatta carico di cercare fondi perché questo non accada.
Potrà sembrare la solita raccolta fondi, uguale a mille altre, che non sappiamo mai se sarà portata a  termine.
Personalmente, però, mi è capitato di sentire La Pina raccontare del suo incontro con questi bambini.
E la "svampita" della radio aveva la voce rotta dal pianto. Un pianto vero. Sincero.
Lei continua a dire di non essere un tecnico dell'educazione, ma parla in modo appassionato di ciò che ha visto con i suoi occhi. Con la naturalezza che, secondo me, la contraddistinuge.
Questo mi ha fatto specie.
Come mi ha "raggelato" (proprio questa sera) sentire il suo collega Diego parlare di "progetto educativo".
Si, proprio Diego che passa il suo tempo prendendo in giro le persone, sbeffeggiando e deridendo ogni persona, ha parlato con molta competenza di un progetto pedagogico.
Il tutto coordinato (mi si passi il termine) dalla Vale, la loro compagna di sempre.
E in tutto questo pubblicizzare Casa Elisa, ho sentito spendere parole entusiastiche sul lavoro degli educatori, sul loro ruolo, sulla competenza che dimostrano.
In un periodo in cui (da Padova in poi, ma anche prima) l'educazione sembra solo un alibi per raggiungere altri obiettivi (poco etici e leciti) qualcuno ha avuto il coraggio di raccontarla diversamente.
Senza essere un tecnico.
E la "scemenza" allora diventa pedagogica, perché educa - in una trasmissione leggera che vuole solo accompagnare le persone a casa dopo il lavoro - ad un'attenzione all'altro che esula dai confini nazionali, dagli andamenti della Borsa e da qualsiasi altro argomento faceto.
 
La Pina, Diego e la Vale mi perdoneranno per averli definiti "svampiti" e sono certo che accetteranno questo mio strano modo di pubblicizzare e condividere il loro progetto.
Sentito.
Entusiasta.
A mio parere, Vero!
 
Ecco il link per il loro sito, anche se tutti lo avranno già sentito.

martedì 20 novembre 2012

I diritti dell'infanzia


ART. 1.
Questa Convenzione si occupa dei diritti di tutti coloro che ancora non hanno compiuto 18 anni.
ART. 2.

Tutti gli stati devono rispettare e garantire i diritti del bambino, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica del bambino o della sua famiglia.
ART. 3.

Gli interessi del bambino devono essere considerati per primi in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo benessere.
ART. 5.

Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura del bambino.
ART. 6.

Il bambino ha il diritto alla vita.
2. Il bambino ha il diritto di sviluppare in modo completo la propria personalità.
ART. 9.

Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi genitori, anche se questi sono separati o divorziati.
ART.10.

Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare in contatto con loro se questi vivono all'estero.
ART 11.

Nessun bambino può essere portato via dal suo paese in modo illegale.
ART 13.

Il bambino ha il diritto di essere informato e di poter dire ciò che pensa, con i mezzi che preferisce.
ART 14.

Il bambino ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza, di religione.
2. I genitori hanno il diritto e il dovere di guidare i figli e in tale compito devono essere lasciati liberi di seguire le idee in cui credono.
ART. 15.

Il bambino ha il diritto di stare assieme agli altri.
ART. 17.

I giornali, i programmi radiofonici e televisivi sono importanti per il bambino; per questo motivo è importante che ce ne siano di adatti a lui.
ART 18.
Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno che si occupa di lui.
Se i genitori di un bambino lavorano, qualcuno deve prendersi cura del bambino mentre loro sono al lavoro.
ART.19.
Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare un bambino o fare violenza su di lui.
ART. 20.
Se un bambino non può rimanere con la sua famiglia, deve andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui.
ART. 21.
Il bambino ha il diritto di essere adottato, se la sua famiglia non si può occupare di lui. Non si può fare commercio con le adozioni.
ART. 22.
1. Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto.
2. Il bambino rifugiato deve essere aiutato a riunirsi alla sua famiglia.
ART. 23.
1.Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha diritto di vivere come gli altri bambini e assieme a loro.
2. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto di essere curato.
3. Il bambino che ha problemi fisici o mentali ha il diritto di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro, di divertirsi.
ART. 24.
Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di salute fisica e mentale e di essere curato bene quando ne ha bisogno.
ART. 27.
Il bambino ha il diritto di crescere bene fisicamente, mentalmente, spiritualmente e socialmente.
ART. 28.
Il bambino ha il diritto all'istruzione. La scuola deve essere obbligatoria e gratuita per tutti.
ART. 29.
Il bambino ha il diritto di ricevere un'educazione che sviluppa le sue capacità e che gli insegni la pace, l'amicizia, l'uguaglianza e il rispetto per l'ambiente naturale.
ART. 30.
Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e la sua religione.
ART. 31.
Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo, al divertimento e a dedicarsi alle attività che più gli piacciono.
ART. 32.
Nessun bambino deve essere sfruttato. Nessun bambino deve fare lavori che possano essere pericolosi o che gli impediscano di crescere bene o di studiare.
ART. 33.
Il bambino deve essere protetto dalla droga.
ART. 34.
Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere sfruttato sessualmente.
ART. 35.
Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto.
ART. 37.
Nessun bambino può essere torturato o condannato a morte o all'ergastolo.
Nessun bambino può essere privato della sua libertà in modo illegale o arbitrario.
ART. 38.
Nessun bambino al di sotto dei 15 anni deve essere arruolato in un esercito, né combattere in una guerra.
ART. 39.
Il bambino che è stato trascurato, sfruttato o maltrattato ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e la sua serenità.
ART. 40.
Il bambino che è accusato di un reato deve essere ritenuto innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole, dopo un processo giusto. Comunque, anche quando è riconosciuto colpevole, ha il diritto di ricevere un trattamento adatto alla sua età, che lo aiuti a tornare a vivere con gli altri.
ART. 41.
A questi diritti ogni Stato può aggiungerne degli altri, che migliorino la situazione del bambino.
ART. 42.
Bisogna far conoscere a tutti, adulti e bambini, quello che dice questa Convenzione.

Solo un piccolo estratto, ma che spesso viene dimenticato da tanti...

domenica 18 novembre 2012

Piccoli tiranni

Una lettura interessante.
Autoritarismo, autorevolezza, permissivismo sono gli stili educativi che i luminari hanno identificato.
Pare che nell'epoca moderna lo stile più utilizzato sia proprio quello permissivo.
Perché?
Come contrapposizione allo stile più "autoritario" che qualche generazione fa veniva utilizzato (quello del "padre-padrone" che comandava su tutti e a cui - in alcune regioni - si doveva addirittura rivolgersi con il "lei" o il "voi")?
Oppure per la paura dei moderni genitori di entrare in conflitto con i propri figli?
O - ancora - come risultato delle evoluzioni sociali che dagli anni 70 in poi hanno criticato il potere costituito e messo in discussione ogni autorità?
Mi vien da sperare che quanto descritto in questo libro, per quanto reale, sia solo una (e non l'unica) rappresentazione della realtà.
E mi vien da sperare che, come in tutti i corsi e ricorsi storici, a seguito di due epoche in cui si prediligono gli opposti, si possa finalmente giungere al "giusto mezzo" riconoscendo che l'autorevolezza possa essere un corretto equilibrio tra autorità e permissivismo.
Compito dell'educazione, in questo caso, è di sostenere gli adulti nel loro processo di crescita ed autoformazione al ruolo di genitori?
 
Tratto dal libro:«Dottore, come posso far capire alla bambina che è ora di andare a letto quando mi dice che vuole continuare a guardare la televisione?». «Basta spegnere la televisione, signora». «Dottore, mai lei la riaccende!». Leggendo questo dialogo si direbbe che la madre abbia a che fare con un’adolescente ribelle. […] La bambina di cui parla ha ventitré mesi, e pesa meno di dieci chili.

martedì 13 novembre 2012

Pre-pensionamento educativo

"Dove sono finiti tutti gli educatori con esperienza, strutturati e in grado di gestire interventi educativi complessi? Dimmelo tu perché io non ne trovo!"
Con questa domanda mi ha accolto settimana scorsa un'assistente sociale alla ricerca di un operatore a cui affidare il caso, appunto molto complesso, di un minore e della sua famiglia.
Ma questa domanda, nell'ultimo periodo, non l'ho sentita solo da lei.
Perché dopo un po' di anni di lavoro gli educatori rifuggono il contatto diretto con l'utenza?
Per quale motivo ambiscono a diventare coordinatori o si rifugiano all'interno di servizi dove il contatto con le persone è ridotto?
"Sai, è una caratteristica del nostro lavoro purtroppo. L'energia dopo un po' cala... Mi immagini a 60 anni a correre dietro ad adolescenti sgarruppati o a gestire situazioni conflittuali?" ho provato a risponderle.
Ma lei mi ha subito incalzato: "Posso capirlo a 60 anni, ma quando succede a 30? Che mi rispondi?".
E questo è davvero un problema.
In Italia l'età pensionabile si allontana sempre di più ed il nostro non è considerato un "lavoro usurante".
D'altra parte non lavoriamo in miniera!
Ecco perché schiere di educatori cercano di ricollocarsi, reinventarsi e tentare la strada dei coordinatori, dei consulenti, dei supervisori.
Solo che non ci può essere un coordinatore, un consulente o un supervisore per ogni educatore attivo.
E le leggi matematiche non sono delle opinioni. Le proporzioni sono proporzioni.
In più un bravo educatore non significa in automatico un bravo coordinatore o consulente o supervisore.
Quindi il problema si complessifica.
Esiste però anche l'altra faccia della medaglia: i giovani educatori non riescono ad avere opportunità perché carenti di esperienza.
Come fanno a fare esperienza se non hanno opportunità?
Infine: un educatore strutturato (o "agé" come amo definirlo io) necessita anche di una tranquillità professionale ed economica perché normalmente ha una famiglia e non può prescindere da alcune certezze.
E quindi il problema rimane invariato: il mercato chiede educatori con esperienza, gli educatori con esperienza sono già sistemati o rifuggono il contatto con l'utenza, gli educatori senza esperienza non hanno opportunità e continueranno a rimanere senza esperienza.
La soluzione al problema?
Non lo so. So solo che devo trovare due educatori con esperienza e tutti quelli che ho sono già strapieni di progetti, ma non posso proporre educatori giovani perché il mercato non li vuole.
Wow: il cane che si morde la coda.
Le agenzie formative non aiutano, il mercato non si apre e... Bisogna trovare una soluzione al problema.
Suggerimenti?

domenica 11 novembre 2012

Scacchiera pedagogica

Uno dei compiti più complessi, a mio parere, di un coordinatore di assistenze domiciliari per minori è l'organizzazione degli orari e l'accoppiamento educatore-utente.
Il primo aspetto è complesso perché questo tipo di intervento normalmemte si svolge al pomeriggio (dopo gli impegni scolastici e prima di cena). Un pomeriggio però è composto al massimo da 5 ore! E non bisogna dimenticare il tempo di spostamemto da un intervento all'altro.
Ma la parte più delicata è proprio la scelta della tipologia di educatore da proporre a seconda della richiesta da parte del servizio e dalla peculiarità del'utente: uomini o donne, giovani o strutturati, con formazione specifica su un disturbo o polivalenti... Cercando di rispondere ai bisogni del servizio inviante ma effettuando un'analiso oggettiva di come noi vediamo questo tipo di intervento.
Proprio perché è peculiarità dell'educatore e del pedagogista progettare l'intervento educativo.
Qualche giorno fa mi sono trovato imbrigliato con un ispettore del lavoro: dovevo riuscire a spiegare perché il ricollocamento di un educatore da un progetto all'altro non è affare semplice.
Ma l'ispettore non parlava il mio linguaggio e di conseguenza faticava a comprendere.
"Immagini una giovane educatrice specializzata nel lavoro con bambini 0-3 anni. Ecco ora mi dica se io posso ricollocarla in un progetto con padri ex-tossicodipendenti o ex-carcerati e posso mandarla a lavorare presso il loro domicilio. Non è come spostarsi dal reparto latticini al reparto macelleria!"
La scelta dell'educatore deve quindi tenere conto delle caratteristiche dell'intervento, della disponibilità oraria dell'operatore, del beneplacito dei servizi, dei bisogni dell'utente... E tutto va "ricollocato" nell'ottica contrattuale!
Non è un aspetto semplice da considerare, perché ne va dell'efficacia dell'intervento, della sanità mentale dell'operatore e del positivo riscontro da parte dei clienti (che dovranno/non dovranno proporti altre interventi educativi).
Ecco perché un buon coordinatore dovrebbe almeno sapere come funziona il gioco degli scacchi.
Meglio ancora saperci giocare quantomeno discretamente.

domenica 4 novembre 2012

L'eredità educativa

Un piccolo malessere, un calo di pressione, un mancamento. Il papà non si sente bene, la mamma si preoccupa, la bimba si terrorizza.
"Se non vuoi andare dal medico a richiedere approfondimenti per te stesso, almeno fallo per tua figlia..." è la supplica della moglie al marito.
Cosa siamo noi? Qual è il destino dell'essere umano? Domanda filosoficamente fondamentale ma con un'unica, sola e inappellabile risposta: siamo destinati a morire.
E allora tanti si sono chiesti quale sia il senso.
Il senso della vita.
Lo si può rivedere negli occhi di quella bimba spaventata per il malore del suo adorato papà: il senso della nostra vita è l'eredità che lasciamo a chi ci sopravviverà. Affinché loro abbiano ricordi che, come piccoli mattoncini di lego colorati, li possano aiutare a trovare il loro senso della vita e a costruire l'eredità che anche a loro toccherà lasciare, prima o dopo.
Mi viene da pensare che - allora - il senso della vita coincide con il senso dell'educazione: non solo trasmissione di saperi, ma anche di valori, credenze, convinzioni, dubbi, paure, perplessità, speranze, tradizioni, affetti...
Il terrore negli occhi di quella bimba spaventata dal melessere del suo papà - che non capisce fino in fondo e che chissà quali paure e fantasmi le provoca - apre a nuovi paradigmi: educare non significa solo prendersi cura dell'altro, ma anche prendersi cura di sé stessi in funzione del benessere dell'altro.
Il benessere di quel papà non ha solo l'obiettivo di evitare gli occhi gonfi di lacrime della sua adorata figlia, ma anche di preservarla da una prematura perdita di uno dei suoi riferimenti più importanti, di uno dei legami fondamentali per il processo di crescita e per il superamento delle difficoltà e delle paure o per il considamento delle proprie capacità.
Il primo amore della propria vita ma certamente non l'ultimo.
Di sicuro quello che imposterà tutte le relazioni affettive della sua esistenza.

Vale solo per i propri figli?
Per un educatore certamente no. Perché nella professione educativa l'importanza dell'eredità è il senso dell'educazione.
Semina perché prima o poi qualcuno raccolga.
Lascia un segno di te negli altri.
Proponiti come individuo perché gli altri possano superare la paura della propria individualità.
Offri risorse, strumenti e occasioni perché gli altri abbiano la possibilità di scegliere se utilizzarli o no.
Ma sappi che il tuo compito prima o poi avrà termine.
E non è detto che sia tu a decidere quando.

Quindi prenditi cura degli altri, con passione, costanza e dedizione.
Ma non dimenticare di mettere la stessa passione, costanza e dedizione nella cura di te stesso.
Educare è un compito faticoso e va affrontato con il massimo delle energie.