lunedì 20 agosto 2012

L'acchiappatore nella segale: una metafora educativa?

"...ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell'immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c'è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull'orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l'acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l'unica cosa che mi piacerebbe veramente fare. Lo so che è una pazzia."
 da "Il Giovane Holden" - J.D. Salinger

Ho letto questo romanzo ultimamente, l'ho terminato un paio di giorni fa. E onestamente non ne ho capito molto il senso.
Però ho colto questa frase che mi ha attaccato addosso un po' di inquietudine. Perché mi sembra molto una metafora del lavoro educativo.
Holden - notoriamente inconcludente in ogni aspetto della sua vita - interrogato dalla sorellina su quale sia la cosa che gli piace fare nella vita (nella vana speranza di accendere in lui un lume, un obiettivo che potrebbe voler raggiungere) - risponde che vorrebbe fare l'acchiappatore nella segale.
Cioè salvare tutti coloro che - inconsapevolmente - rischiano di cadere nel burrone. Li identifica come bambini cioè come soggetti che, differentemente da lui che è un adolescente, hanno meno risorse, meno strumenti.
E non è questo il senso del lavoro educativo? Cercare di aiutare chi ha meno strumenti? Chi si trova in una situazione di difficoltà?
Ma dove sta allora il senso di inquietudine?
In due aspetti, principalmente.
Il primo è di certo il senso di onnipotenza: voler "salvare" tutti coloro che sono in difficoltà. Che è un grosso rischio per l'educatore poiché tutti noi professionisti sappiamo che ognuno è artefice del proprio destino. Il nostro compito, infatti, non deve essere salvifico ma di opportunità. Offrire agli altri una possibile differente visione di sé stessi e della propria situazione. Sarà poi l'altro a scegliere.
Ma si sa bene che gli educatori - in fondo in fondo - hanno anche un grande Ego e nel loro intimo sperano di cambiare il mondo, le persone, insomma... tutti.
Dove sta quindi la differenza tra equilibrio professionale e senso di onnipotenza? Nel "giusto mezzo", dove stanno spesso le cose - appunto - giuste. A mio parere il senso di onnipotenza è il motore del nostro lavoro, quel motore che ci fa andare avanti anche quando (spesso) ci si deve confrontare con il fallimento e il conseguente senso di impotenza. Ma l'onnipotenza va razionalizzata, ridimensionata e qualificata come sentimento non umano e quindi irraggiungibile. E lo si può fare solo attraverso diversi strumenti professionali come il team, la supervisione, la formazione continua, il confronto e il dialogo.
Il secondo aspetto che mi ha provocato quella sensazione di inquietudine è stata la conclusione a cui arriva il giovane Holden: "Lo so che è una pazzia".
Qual è la follia? Salvare tutti? O tentare (una volta che ci si è scontrati con i propri limiti umani) di salvare?
Il lavoro educativo è una follia?
Certe volte, in effetti, me lo chiedo. Mi domando quale sia il senso di combattere, spesso, contro i mulini a vento, nelle battaglie perse, in situazioni che già in partenza - sulla carta - ci vedono come sconfitti.
Eppure da quasi vent'anni, giorno dopo giorno, vado avanti in questa mia follia. Anno dopo anno continuo a lavorare, a fare l'educatore, a tentare di "salvare" quanti più riesco.
Anche se qualche volta mi dico che vorrei tanto andare a lavorare in un supermercato dove la relazione con l'altro è limitata ad un più semplice "Buongiorno... vuole un sacchetto?... Carta o bancomat?... Arrivederci" senza nessuna implicazione personale, senza alcuna domanda. Una relazione superficiale che non lascia segno ma non arreca nemmeno danno o dolore.
Perché allora continuo a fare l'educatore?
Per un solo motivo: se riesco ad aiutare anche un solo individuo in tutta la mia carriera ho raggiunto il mio obiettivo e ho gratificato (almeno per un pezzettino) il mio ego onnipotente.
Si tratta di follia?
Probabilmente si.
Ma è la mia. E me la tengo stretta.






Colui che non ha mai fatto un errore,
non ha mai tentato qualcosa di nuovo. 
Albert Einstein 

2 commenti:

  1. Direi che siamo almeno in due! Conosco bene quella follia e ti dirò di più: probabilmente tu (come me) cercheresti di cambiare il mondo e di salvare qualcuno anche da dietro la cassa del supermercato.

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    1. Mi sa che ci hai beccato! Mia madre ha lavorato tutta la vita all'Esselunga e io - da piccolo - mentre aspettavo che le finisse il turno per andare a casa insieme facevo la spesa per tutte le sue colleghe che non avevano tempo.
      Ed ho anche adottato una simpatica "vecchiettina" a cui portavo la spesa a casa perché non riusciva più a camminare. Facevo quasi mezz'ora di strada a piedi e poi stavo da lei ascoltando le sue storie e le sue chiacchiere...

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