mercoledì 30 luglio 2014

E poi mi chiedono che lavoro faccio...

ore 20.30
Ricevi una telefonata...
"Non vuole lavare i denti, sta facendo scene dell'altro mondo. C'è fuori mezzo paese. Adesso chiamo i carabinieri e lo faccio portare in istituto. Non ce la faccio più..."
Clic.
La telefonata si chiude.
Tu richiami ma risponde la segreteria telefonica.
Una volta. Due volte. Tre. Quindici.
Sempre la segreteria.
Prendi la tua decisione. Guardi tua figlia (che non ha ancora 8 anni e si sta apprestando ad andare a letto) e le dici "Scusa piccola, devo uscire. Si tratta di un'emergenza." E poi parti.
Venti minuti d'auto durante i quali l'emotività, l'adrenalina e la lucidità professionale si mischiano. A tratti si confondono.
Pensi a tutti gli scenari possibili. Al paese che assiste allo scempio educativo. Ai carabinieri a cui dovrai probabilmente spiegare quanto accaduto (con tutti gli annessi e connessi). Alla mamma e al suo bimbo che "chissà come saranno messi...", all'intervento educativo che dovrai fare.
Perché questo è quello che stai andando a fare: un intervento educativo che non hai progettato, programmato e che dovrai agire entro i prossimi minuti.
Arrivi.
Di carabinieri e vicinato nemmeno l'ombra. Di urla e pianti nemmeno più l'eco.
Lui sta lavando i denti e lei lo sta aiutando.
Non è importante quello che dici o quello che fai. Non è questo il senso della narrazione. 
Basta dire che cerchi di contenere la tua emotività (ma non troppo) e che ti preoccupi di tutto il sistema: madre, bimbo, vicinato... Con un occhio a quello che hai fatto fino ad ora, uno all'obiettivo di ora e di domani (quando li dovrai rincontrare!), uno agli obiettivi del servizio sociale e del tribunale.... e quanti occhi ha un educatore?
Tutti quelli appena citato più uno.
Perché quando tutto finisce ed esci da quella casa l'adrenalina cala.
E l'ultimo occhio si occupa di te lasciando uscire una microscopica (forse metaforica) lacrima.
Perché ti accorgi che la cosa più dolorosa di questa folle serata è quella frase.
"Scusa piccola, devo uscire. Si tratta di un'emergenza."
E ti accorgi che forse hai chiesto troppo. Non a te stesso, ma alla tua piccola. Che non ha ancora otto anni ma già deve fare i conti con le emergenze serali e le partenze improvvise.
Il guaio è che hai ancora venti minuti d'auto da percorrere per arrivare a casa. E che non potrai fare altro che pensare a quanto accaduto. Professionalmente e personalmente.
Emozioni, dubbi, sensi di colpa, valutazioni del tuo operato...
Poi torni a casa e l'abbracci.
"Sono tornato. Tutto a posto." dici, pensando all'emergenza che hai appena affrontato.
E lei ti risponde: "Si, tutto a posto papi." pensando a sé stessa.
Le dai il bacio della buona notte.
Torni sul divano e ti chiedi se merita un padre che la sera, invece di stare con lei, corre per altri bambini.
Una risposta arriva.
Merita questo padre che la ama tanto perché ha imparato ad amare anche altri bambini.

Un ultimo pensiero.
Vaffanculo a questo lavoro.
Domani si ricomincia.

E tutto quello che resta
sono sogni incollati fino a dentro le ossa
(Emma - Amami)



sabato 19 luglio 2014

Riflessioni dopo #pedagogicalert (il B-day)

Il blogging day è appena passato, i post stanno girando in rete e riceveranno (forse) qualche commento, saranno (mi piace pensarlo) da stimolo per qualche educatore e/o pedagogista.
Il tema #pedagogicalert (di cui trovate qui tutti i contributi) mi è sembrato interessante...

Noi blogger che ospitiamo i contributi di altri siamo abituati, ad ogni blogging day, a ricordarci quanto sia stato faticoso star dietro a tutto. Ricevere i contributi, leggerli, selezionarli, suddividerli tra noi... e poi rincorrere qualche autore perché non ha mandato biografia e foto, inserire i permalink sul sito di Snodi Pedagogici fino all'ultimo minuto, coordinarci per la pubblicazione tutti insieme - a dispetto di quello che stiamo facendo, di dove siamo, di quali impegni abbiamo... - verificare che tutto funzioni, condividere, twittare, googlare, LinkedInare, facebookare... insomma, rendere visibili i contributi il più possibile.
Ma ci piace anche compiacerci, raccontarci quanto il blogging day sia stato bello, quanto profondi e stimolanti siano stati i contributi... Certo, sta nella natura umana provare piacere in quello che si fa.
Gratuitamente peraltro.
O quasi.
Perché un guadagno c'è!

Alcuni di noi (i più geek, direi) controllano le statistiche, analizzano le fluttuazioni degli accessi ai blog in concomitanza dell'evento, mettono in connessione con altri post, con altri blogging day... E fanno bene: perché quei numeri sono il risultato delle fatiche comuni e ci narrano quanto la divulgazione pedagogica abbia (o meno) avuto successo. Che è poi il nostro obiettivo.
Io no.
Io mi limito a leggere gli altrui contributi e a coglierne dei suggerimenti per la mia professione.

E devo dire che questo è stato proprio un bel blogging day.

Mi è piaciuto. Più di altri forse... Forse...

Mi ha fatto riflettere su alcune cose che, nella mia vita professionale, sono molto importanti e - benché io le tenga sempre in considerazione - devo ricordarmi di non dimenticarle mai.
Ma veramente Mai!

Intanto che la relazione educativa non può mai essere distaccata dal setting in cui si è inseriti.
Nei diversi contributi (che altro non sono se non narrazioni delle nostre prassi quotidiani) si attraversano luoghi educativi differenti, ma si pone sempre molta attenzione alla relazione tra educatore ed educando. 
Corretto, ovviamente, ma non a discapito del tutto che ci circonda.
Provo ad immaginarmi in una relazione educativa con uno (dei tanti) ragazzini che seguo. Uno qualsiasi...
Un capriccio o una trasgressione ad una regola che peso hanno se sono agiti nella sua abitazione (dove siamo presenti solo io e lui) o in un supermercato (mentre compriamo l'acqua per sua madre?). Le mie reazioni sarebbero identiche?
Ovviamente no - mi viene da dire - perché in ogni luogo ci sono delle regole di contesto differenti e sulla base [anche] di queste devo costruire il mio intervento. 
E all'interno dello stesso "luogo" anche la presenza (o assenza) di altri attori modifica il mio intervento educativo.
E di conseguenza la relazione comunicativa che ho con il mio ragazzetto.
La presenza (o assenza) di un genitore, di un fratello, di un amico, di un qualsiasi altro elemento del suo sistema familiare o sociale deve necessariamente modificare la mia intenzionalità educativa, pur nel mantenimento dell'obiettivo che voglio raggiungere.
Chiaro?
Credo di no. Ma tant'è...

Inoltre la relazione educativa non può mai prescindere dalla storia e dall'educazione dell'educatore.
Una delle domande che più mi ha colpito nei contributi di #pedagogicalert è stata "Dove finisce la regola e comincia il libero arbitrio?"
Come dire: quanto ci metto di me come persona? E quanto è positivo quel che ci metto di me come persona?
Uno dei lati oscuri dell'educazione più evidenziato sembra emergere quando l'educatore pone al centro della relazione sé stesso (e i propri bisogni di autovalutazione) invece dell'utente. Quando il trarre fuori si trasformare in inculcare.
Quanto è sottile la border-line (termine scelto non a caso) tra la richiesta di rispetto di una regola e l'asservimento dell'altro a me? Quanto io come educatore rischio, nel tentativo di trasmettere regole e contesti sociali, di esagerare e trasferire le mie credenze e i miei miti?
Mi viene in mente, a questo proposito, un episodio accaduto non più tardi di una settimana fa.
Oratorio estivo. Un bimbo dice una parolaccia "un po' troppo grossa" ed io intervengo. Alla scena è presente un animatore, uno di quegli adolescenti che dedicano la loro estate al servizio di qualcuno più piccolo di lui per farlo divertire ed aiutarlo a crescere (e forse per divertirsi e crescere un po' anche lui).
Al termine dell'intervento, una volta che il bambino "con la bocca più grande di lui" si allontana, l'animatore mi apostrofa.
"Io sarei stato molto più duro di te."
Ci credo. Quella parolaccia (davvero un po' troppo grossa!) ha urtato le sue personali credenze e convinzioni. E lui (da adolescente quale è) le avrebbe difese a spada tratta.
Gli ho fatto notare questa cosa. E gli ho anche fatto notare che se avesse messo in primo piano le sue credenze avrebbe (forse) sconfessato le credenze dell'altro, esprimendo un giudizio di valore sul modo in cui è stato cresciuto (e di conseguenza sulle persone che lo hanno cresciuto) obbligandolo a scegliere tra un sistema di valori ed un altro.
Uscendone probabilmente sconfitto perché l'educazione familiare è più forte di quella impartita da un "esterno".
Per quanto simpatico e carismatico possa essere.
Era giusto che il ragazzo avesse ben presente la sua educazione e le sue scelte di vita che lo hanno formato come persona, ma era altrettanto giusto che ricordasse che queste grandi risorse potrebbero facilmente trasformarsi in limiti se le utilizzasse come assiomi.
Una buona lezione educativa per lui.
Un ottimo promemoria per me.
Perché un educatore deve conoscersi profondamente per trasformare se stesso in uno strumento educativo.
O rischia di diventare un cattivo maestro.

Infine che l'educazione non può mai essere bianca o nera.
Nel bene c'è sempre un po' di male.
E viceversa.
Perché l'educazione è fatta da esseri umani che, in quanto tali, sono passibili di errori.
Ma, come spesso mi piace ripetere ai genitori che incontro nei luoghi formativi, se una scelta educativa è fatta con consapevolezza, buona fede ed intenzionalità non può mai essere una scelta errata.
Solo perfettibile.

Ecco perché questo è stato un bel B-day per me.



venerdì 18 luglio 2014

#pedagogicalert - I lati oscuri dell'educazione

Il tema lanciato a luglio da Snodi Pedagogici è: #PEDAGOGICALERT

"Quali sono le zone oscure dell’educazione?

Quali elementi ci sono nell’educazione e nella pedagogia che, se non vengono valutati, portano l ‘azione educativa ad essere “pericolosa” per chi educa e ch è educato? 
Chi sono i cattivi maestri?
Oppure la pedagogia può come disciplina, citando Marguerite Yourcenar, saper guardare nel buio con disobbedienza, ottimismo e avventatezza e scoprire strade inusitate?"



Buona lettura



#PEDAGOGICALERT - I lati oscuri dell'educazione

Quando vidi costui nel gran diserto..
.tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore/
Tu se’ solo colui da cu’ io tolsi/
Lo bello stilo che m’ha fatto onore.”
(“Commedia”, If. I - Dante Alighieri)

Non smetto mai di figurarmi nella mente questa immagine della dantesca Commedia, quando penso al rapporto educativo: un rapporto che è tale perché chi viene educato riconosce in chi ha al suo fianco nel cammino pedagogico-didattico un riferimento, una guida, un “Virgilio”.
Il riconoscimento è determinato dalla fiducia, un “profumo” originato dal bagaglio di conoscenze e abilità che la guida può trasmettere (“Tu se’ solo colui da cui io tolsi…”) per perpetuare in modo sempre diverso coscienze le più libere e autonome possibili: un bagaglio che, come un testimone in una corsa a staffetta, la “guida” affida al “Dante” di turno (torna la fiducia…), in modo che lo “smarrito Dante” possa sapersi orientare nella “selva oscura” e magari uscirne.
Potrebbe, tuttavia, rimanervi impigliato tra rametti di cipressi di Leyland e cespugli di Rovi? Potrebbe non uscirne mai più da quel “bosco senza luce”?
Sì, ma in un caso: solo quando il “Virgilio” di turno (l’educatore…) strumentalizza quella fiducia e in realtà affida al “Dante” non una bussola, ma uno “narcisistico specchietto”, mediante cui ritrovare solo se stesso e dipendere dal Virgilio senza mai “riveder le stelle” in modo autonomo e critico.
Quando un educatore, un maestro, un insegnante non affida al discente gli strumenti in suo possesso (conoscenze e abilità) per spiccare il volo, ma per restare impigliato in un rapporto di subalternità e dipendenza, là il rapporto educativo vortica su se stesso, in una “specchiata spirale” in cui docente e discente si riflettono per cercare nell’altro quel qualcosa che dia senso alla propria esistenza: come Lord Voldermort (cattivo maestro…) ed Harry Potter nel finale della saga omonima, si lanciano da una finestra nel vuoto, non per reciproco “affidarsi” consci che una rete ci sarà a salvare le loro vite, ma per un sussulto di “disperata vitalità”, che rasenta lo spegnimento di ogni facoltà emotivo-intellettiva fino al cadere in un abisso senza fine, la perdita di sé, impelagati tra flutti alti e marosi tumultuosi.
Non al mare, ma al cielo, dovrebbero mirare discente e docente: come un acrobata il discente, dopo aver rasentato la terra e respirato l’odor di segatura dell’arena circense, lascia che l’altro nel sinuoso volo lo prenda temporaneamente per mano, affinché spicchi il volo, da solo, da sé…
E Montero Primo attaccava a salire la sua tela, ingollando e ingollando, finché arrivava all’abbraccio del fratello…”1
Si diventa Lord Voldemort, cattivo maestro, specie quando l’educatore non ha fatto i conti con sé e cerca un senso in chi ha di fronte, strumentalizzandolo per alimentare il proprio ego ancora labile e lacunoso: difficile è essere Montero Secondo, che si fa temporaneo strumento, provvisoria rampa di lancio, per permettere al fratello di completare l’acrobatico esercizio.

Libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno:
perch’io te sovra te corono e mitrio”.
(“Commedia”, Pg. XXVII – Virgilio a Dante..)

Così Virgilio si congeda.
Il suo compito è terminato: Dante spiccherà il volo e “vedrà le stelle”.

1 “Piazza d’Italia” – Antonio Tabucchi.

L'autore di questo post
PASQUALE NUZZOLESE
Professore di Lettere alla  Scuola Secondaria di I grado “Sandro Pertini” di Ponte nelle Alpi (BL), vivo da sei anni tra le “Scogliere di Dio” bellunesi, dopo averne trascorsi ventisei nell’Atene delle Puglie, Trani,  terra dove mi sono laureato in Lettere moderne, indirizzo storico-sociale (2005) e ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento (SSIS – Puglia, 2008).  Ritrarre in “scatti di luce” la realtà (Instagram) e declinarla in 140 caratteri ( Twitter) sono il modo in cui vivo le humanae litterae del XXI secolo.



Tutti i contributi verranno divulgati dai blogger di Snodi Pedagogicicondivisi e commentati sui diversi social e raccolti a questo link 

I blog che partecipano
Il Piccolo Doge di Sylvia Baldessari
Ponti e Derive di Monica Cristina Massola
Nessi Pedagogici di Manuerla Fedeli
E di Educazione di Anna Gatti
La Bottega della Pedagogista di Vania Rigoni
In Dialogo di Elisa Benzi
Bivio Pedagogico di Christian Sarno
Labirinti Pedagogici di Alessandro Curti
Tra Fantasia Pensiero Azione di Monica D'Alessandro Pozzi
blogging day fanno parte di un progetto culturale organizzato e promosso da Snodi Pedagogici.

Questo avrà termine con l'estate e sfocerà in un'antologia dei contributi che verrà pubblicata sotto forma di ebook, il cui ricavato andrà in beneficenza alla Locanda dei Girasoli



Una volta finito il percorso di pubblicazione online, vari autori che hanno preso parte ai BDay, verranno contattati dalla redazione.

giovedì 17 luglio 2014

#5buoneragioni

Sta accadendo qualcosa di importante.
Qualcosa che ha a che fare con le comunità per minori. Tema [non ho bisogno di dirlo a chi mi conosce bene] che mi sta molto caro.
Perché in comunità per minori ci ho passato (letteralmente) metà della mia vita.
Sangue (metaforico), sudore (fisico) e lacrime (quelle raccolte). 
Ma tante e tante soddisfazioni.

Ma bando all'emotività di un povero anziano educatore.
Dicevo che sta succedendo qualcosa. 
Alle 12.30 di oggi alla Camera dei Deputati stanno presentando la campagna #5buoneragioni.
Cinque buone ragioni per accogliere i bambini che vanno protetti.


Da dove nasce questa campagna? 
Dai recenti servizi di tante trasmissioni che hanno messo in discussione [eufemismo] il lavoro di queste strutture di accoglienza. 
[Ne ho già parlato qui e (indirettamente) qui.]
Qualcuno ha letto i miei post e - per questo - mi ha coinvolto chiedendomi di sottoscrivere la campagna.
Cosa che ho fatto senza dubbio alcuno.
Perché io conosco il senso ed il valore delle comunità di accoglienza.
Poi mi hanno chiesto di mandare un video: una registrazione in cui racconto perché ho sottoscritto quella campagna. Ma io mi vergogno. So a malapena scrivere, figuriamoci se so anche parlare in pubblico...
Forse lo farò, forse no (anche se qualcuno a me molto vicino continua a dirmi Mandalo!).
Ma intanto ho fatto quel che so fare (forse) meglio.
Scrivere.

Ed è qui che scrivo che non ho bisogno di #5buoneragioni per sostenere che le comunità di accoglienza devono continuare ad esistere.
Mi basta pensare alle centinaia di ragazzi che ho incontrato in quasi vent'anni di lavoro in comunità e mi vengono in mente molto più che #5buoneragioni. 
Potrei fare i nomi, ma non mi basterebbe un post.
E non sarebbe interessante per coloro che leggono, perché le storie hanno senso solo se le conosciamo bene. Se le viviamo o se ci vengono raccontate...
Ecco perché io cerco di narrare ciò che faccio in educazione. 
Non per me. 
Non per i servizi. 
Ma per loro: le storie (e le persone) che quotidianamente incontro e che vivo.
Perché l'educazione è un viaggio che si percorre insieme!

So che ci sono servizi che non funzionano, so che ci sono educatori che non fanno bene il loro lavoro (e non sono né meglio né peggio di quelli che vengono arrestati per pedofilia, maltrattamenti o incuria perché quando si ha a che fare con le persone non si scherza, non si può sbagliare!).
Ma so che ci sono preti che partecipano a festini a base di coca. 
E non vuole dire che tutti i preti sono cocainomani.
So che ci sono cassiere del supermercato che rubato. 
E non vuol dire che tutte le cassiere siano ladre.
So che ci sono dipendenti pubblici che non lavorano. 
E non vuol dire che tutti i dipendenti pubblici siano dei fannulloni.
So che ci sono insegnanti che non hanno a cuore il processo di crescita dei loro studenti. 
E non vuol dire che tutti gli insegnanti siano inetti.
So che ci sono genitori che non riescono/possono/vogliono crescere bene i loro figli.
E non vuol dire che tutti i genitori siano degli incapaci.

Al mondo ci sono un mucchio di luoghi comuni.
Alcuni giusti e alcuni sbagliati.
Poi ci sono un mucchio di storie. 
Chi ha il potere di dire quali siano quelle giuste e quelle sbagliate?

Alcune sono silenziose ad esclusivo appannaggio di chi ha avuto la fortuna di viverle.
Altre le raccontano qui.
E sono interessanti da ascoltare.


(e vi consiglio di prestare particolare attenzione a ciò che dice Francesco...)