giovedì 30 gennaio 2014

Francesco Casali intervista Alessandro Curti

Francesco Casali è un educatore come me. 
E come me (anzi, di più) è anche uno scrittore: l'autore-educatore che mi ha fatto avere "quel centimetro di coraggio sopra la paura" che mi ha permesso di scrivere il mio Padri Imperfetti.
Ed è con lui che ho tentato questo esperimento: chiedergli di intervistarmi!
Perché?
Forse per avere un riscontro di quanto ho scritto, o più probabilmente per capire, attraverso le sue domande, che tipo di impatto ha avuto il mio romanzo.
Comunque...

Questo è il risultato del nostro esperimento.
Buona lettura.

Nella scrittura del libro pensi abbia inciso maggiormente l’essere diventato padre o il tuo lavoro di educatore con i minori? O meglio: se non fossi diventato padre avresti iniziato ugualmente a scrivere questo libro?

La volontà (e la necessità) di scrivere un libro c'è sempre stata, anche prima di diventare padre. Nel mio lavoro di educatore ho sempre utilizzato la scrittura come strumento per fissare immagini, descrivere situazioni, produrre relazioni. Ma più di tutto la scrittura, dal punto di vista professionale, mi è servita per riflettere su ciò che faccio.
Quando sono diventato padre tutto è cambiato: la mia vita, i miei ritmi professionali, le mie priorità. E anche i temi su cui mi sono trovato a riflettere.
Per rispondere sinteticamente alla tua domanda: si, avrei scritto (o tentato di scrivere) anche se non fossi diventato padre.
Ma certamente non avrei scritto su questo argomento e con l'intenzione di riflettere anche sul mio ruolo nella relazione con mia figlia.

Ho l’impressione che tu abbia solo accennato – forse volutamente - ad alcune questioni giuridiche e burocratiche legate ad affidamenti e tribunali: cosa ne pensi in generale dell’attuale sistema legislativo riguardo ai minori? 

Il tema poteva essere di sicuro approfondito in modo più preciso ma ho volutamente scelto di non farlo perché è un argomento delicato. I tribunali e i servizi sociali sono formati da persone e sono il loro impegno e professionalità (o la loro mancanza) a fare la differenza.
Le istituzioni sono dei contenitori e, in quanto tali, privi di qualità positive o negative. 
Oltre a questo mi preme anche aggiungere che nelle storie che racconto è fin troppo facile accusare le istituzioni e non volevo gettare benzina sul fuoco.

Qual è la stata la difficoltà maggiore durante la scrittura e, se potessi, tornare indietro, cosa cambieresti del tuo lavoro? 

La difficoltà maggiore è stata la gestione del tempo, trovare dei momenti in cui potermi concentrare e scrivere.
Se tornassi indietro? Farei più attenzione al processo di editing, seguendolo maggiormente ed evitando di delegarlo troppo. 
Ero alla mia prima pubblicazione e non vedevo l'ora di averla tra le mani. Ma la fretta non è sempre positiva.

Come è stato accolto dal mondo femminile delle “madri imperfette” il tuo libro? 

Il mio libro è stato letto da molte donne e da nessuna di loro ho ricevuto critiche per l'immagine che esce del mondo femminile. Credo, anzi, di aver mostrato loro una visione della paternità che forse non consideravano, che non riuscivano a percepire.
Credo che il titolo abbia anzi incentivato la lettura del gender opposto perché le donne (le mamme) spesso considerano "imperfetti" proprio i padri. Non è un'accusa quella che faccio, semplicemente una constatazione in un mondo che fatica a concepire la cura e l'educazione al maschile.

Per me la scrittura va di pari passo con un lavoro interiore e di solito al termine di un libro, magari dopo l’ennesima rilettura, si rivedono alcune cose personali che inizialmente apparivano diverse. E’ successo anche a te sia come padre che come educatore? 

Come dicevo prima il processo di scrittura è sempre stato, per me, strumento di riflessione e quindi si, ho rivisto e rielaborato diversi aspetti, sia come padre che come educatore.
È però stato un processo che mi ha accompagnato già durante la scrittura e non solo al suo termine.
Ho scritto inizialmente per me. Solo dopo mi sono reso conto che stavo anche cercando di comunicare con i potenziali lettori.

E questi sono i suoi libri


 


domenica 26 gennaio 2014

L'educazione nasce naturale

Ogni mese nel gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogistiviene proposto ai membri un tema educativo.
Chi raccoglie la sfida scrive un articolo al riguardo. I contributi, poi, vengono ospitati nei blog presenti in Snodi Pedagogici  e divulgati nei vari social con un hashtag particolare in un determinato giorno.

Questo mese, gennaio, tocca a "l'Educazione nasce naturale", tema lanciato da Alessandro Curti nell'assemblea  del 16 novembre, svoltasi a Milano.
Cosa ne pensano i genitori dell'educazione?

"L'educazione nasce in un ambito naturale, la famiglia, il gruppo, il clan, la tribù, in cui era necessario che i grandi insegnassero ai piccoli quello che occorreva per vivere. Poi la società si è fatta più complessa è le figure educative si sono moltiplicate e in alcuni caso si sono professionalizzate per supportare quelle naturali. Ma ancora oggi la prima istanza educativa nasce nelle famiglie, nei gruppi familiari, negli spazi di socialità naturali...."



#educazionenaturale 
Cosa vuol dire "L’educazione nasce naturale"?

In questi giorni mi sono soffermata più volte a pensare cosa voglia dire ‘l’educazione nasce naturale’.
Tanti pensieri si sono affacciati alla mia mente, mille ricordi ed emozioni…
Ed una considerazione su tutte: l’educazione nasce naturale perché nasce dal cuore.
Questo non vuol dire che non sia utile ascoltare i consigli di genitori e nonni ‘navigati’, non vuol neppure dire che non siano importanti i suggerimenti di operatori competenti ed esperti, o che sia inutile leggere libri ed articoli su questo argomento. Anzi!! (io personalmente ne ho fatto il pieno!)
Vuol solo dire che, fatto tesoro dei consigli, dei suggerimenti e delle informazioni, è importante, direi fondamentale, affidarci al nostro cuore, mettendoci in gioco con amore e per amore.
Che non è solo l’istinto materno di accudire e difendere i propri cuccioli, ma è un cammino meraviglioso (anche duro e difficoltoso) che ha inizio nello stesso momento in cui una nuova vita entra nella nostra vita.
E’ tanto, tanto di piu’:
è dare tempo, ascolto e spazio.
è accoglienza, comprensione e guida, cura ed attenzione.
è mettersi in gioco, imparando da successi e fallimenti.
è crescere insieme, tenendo ben presente che l’insegnamento è anche apprendimento, sempre.
è imparare, o meglio, re-imparare a guardare tutto cio’ che ci circonda con curiosità e meraviglia.
è non avere paura di sbagliare, sempre disposti a ‘correggere il tiro’ quando ci si accorge che qualcosa non funziona.
è anche sapersi mettere in disparte per lasciarli sperimentare, perché possano imparare a ‘prendere le misure’con se stessi e con gli altri. Un po’ come dare loro uno spartito su cui scrivere la propria musica….
è accogliere i loro bisogni, inclinazioni e desideri, senza lasciare spazio alle nostre aspettative che, appunto, sono nostre.
è soprattutto fidarsi dell’amore, che non è infallibile, ma che è l’unica strada sulla quale camminare l’uno accanto all’altro.
è sentire Daniel, mio figlio 19enne, partito per sei mesi all’estero, che dice: “Mamma, sono contento di partire, ma io torno. Perché a casa mia io sto bene”.


Gabry


I contributi vengono condivisi con gli hashtag #educazionenaturale e ‪#‎snodipedagogici‬ dai blog:

- Bivio Pedagogico
- Labirinti Pedagogici
- E di Educazione
- Allenare Educare
- Nessi Pedagogici
- Ponti e Derive
- La Bottega della Pedagogista
- Il Piccolo Doge
- InDialogo 
- trafantasiapensieroazione

giovedì 23 gennaio 2014

Oggi mi sono svegliato con... (riflessioni intorno agli 'anta' e all'educazione)


Oggi mi sono svegliato con addosso 42 anni. Ieri erano solo 41 ma oggi...
È una settimana che scherzo su questo numero, raccontando a destra e a sinistra che avrei festeggiato i 32!
Tutto per ridere ovviamente. Per fare un po' di autoironia.

Questa mattina, invece, appena sono entrato in macchina per affrontare la lunga giornata di lavoro (non perché al mio compleanno tutto mi sembri più pesante, quanto perché il giovedì professionale per me è sempre così: comincia presto e finisce tardi) ho cominciato a pensare.
Non mi sono svegliato solo con 42 anni addosso ma anche con un mucchio di cose con me.

Con una moglie che amo e che mi ama (anche se entrambi brontoliamo spesso).
Con una figlia che adoro e che mi adora, che mi fa ridere e mi fa arrabbiare, che mi fa provare paura per il futuro ma mi fa venire voglia di esserci in quel futuro. Con lei, per lei, con qualcosa di costruito perché il futuro sia meno spaventoso.
Con due famiglie (si! Proprio due! La mia famiglia di origine e quella di mia moglie) che mi apprezzano, mi stimano e qualche volta mi spronano anche.
Con delle persone intorno (amici e colleghi) con cui condividere fatiche, risultati, dubbi o ricerche.
Con un lavoro che adoro e che mi appassiona. Nonostante le fatiche e le difficoltà.
Con tanti risultati personali e professionali raggiunti. Alcuni piccoli e impercettibili, altri impensabili e sotto gli occhi di tutti.


Mi sento un uomo arrivato?
No!
Perché oltre che con i miei 42 anni questa mattina mi sono svegliato con ancora tanti obiettivi, aspirazioni, progetti; con tanta voglia di fare e di migliorare.
Di crescere.
E di invecchiare.


Sembra un post autocelebrativo? Forse, ma nelle mie intenzioni non lo è.
Cosa c'è di pedagogico?
Semplice: la vita per me è pedagogica, perché è basata su un progetto, con limiti e risorse, obiettivi e strumenti, autonomie e dipendenze, setting e scene da attraversare, incontri ed eventi che a volte sembrano far deviare dalla strada scelta, relazioni da costruire e che ci aiutano a cambiare, insegnamenti e apprendimenti...
Ecco perché oggi, oltre che con i miei 42 anni, mi sono svegliato con queste riflessioni.


Sono un uomo felice?
Si!
E non solo oggi.


p.s. Buon Compleanno a me!

domenica 12 gennaio 2014

Che lavoro fa un educatore?


La domanda è seria. 
Che lavoro fa un educatore?
Non è che io non lo sappia, intendiamoci. Non sono completamente uscito di senno. Non sono in born-out.

La domanda però è seria. Ed è lecita.
Vi è mai capitato che vostro figlio o vostra figlia, tornando da scuola, via abbia chiesto "Ma tu, che lavoro fai?"
E vi è mai successo che - in una équipe in cui vi stanno presentando ad una nuova famiglia o ad un nuovo minore con cui dovrete lavorare - l'Assistente Sociale dica "Adesso lui [lei] vi dirà chi è l'educatore e che cosa farà con voi."?
A me è capitato.
Decisamente più di una volta (la seconda perché mia figlia ha smesso di domandarmelo, forse stufa di non comprendere la risposta).
E voi come rispondete?
Come spiegate che lavoro fate?

Di certo qualcuno si sarà stufato di leggere questo post prima di arrivare a questa riga, convinto che chi lo sta scrivendo sia un po' confuso.
Altri addirittura staranno urlando allo scandalo borbottando tra sé e sé qualcosa tipo "L'educatore fa i progetti, costruisce e agisce interventi educativi, supporta e accompagna tutti coloro che stanno vivendo una qualche difficoltà o un momento di disagio... L'educatore lavora con i bambini, con gli adulti, con i disabili, con i tossicodipendenti, con gli anziani... Ma questo fa l'educatore da una vita e non sa ancora cosa deve fare".

Ecco: tutti coloro che hanno smesso di leggere o hanno bofonchiato non mi saranno d'aiuto. E forse non è del loro aiuto che ho bisogno.
Perché la domanda è lecita e seria: che lavoro fa un educatore?
Ma soprattutto: come lo si spiega a chi educatore non è? Come si racconta ad una nuova famiglia, ad un bambino, ad un adolescente, ad una classe qual è il senso del lavoro educativo?

Come lo si spiega con parole semplici senza sminuirne il grande valore?

Se qualcuno lo sa me lo dica, per favore.

venerdì 3 gennaio 2014

Il compleanno della TV e l'analfabetismo italiano

Il 3 gennaio di 60 anni fa nasceva la televisione italiana. 




Tra le tante cose ha insegnato l'italiano a parecchi di coloro che parlavano solo il dialetto: il primo "educatore" ufficiale e trasversale del nostro Bel Paese?
Probabilmente in parte si... senza la televisione (e la sfida tecnologica che essa rappresentava) altra spinte, altre evoluzioni, altri canali comunicativi non sarebbero stati attraversati.
Perché dopo la televisione sono arrivati i computer e la rete... il passaggio dall'analogico al digitale ha portato nuove evoluzioni, una diffusione più veloce e più "a portata di click" della cultura che, oggi, è lì nel web, pronta e fruibile per tutti.
Basta [appunto] un click e possiamo accedere a qualsiasi contenuto.

Perché allora (proprio in rete, come un ironico scherzo del destino) troviamo rappresentazioni grafiche del tasso di analfabetismo che ci raccontano altro?
Come mai l'analfabetismo in Italia è così diffuso?



Percentuali di analfabetismo funzionale ("incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.") nei Paesi dell'area OCSE (http://it.wikipedia.org/wiki/Analfabetismo_funzionale)

Cosa non ha funzionato? Dove il sistema si è inceppato?

Non voglio demonizzare il ruolo della televisione, che peraltro si commenta da sola: è sufficiente passare – come è accaduto a me – una giornata a casa malato per massacrarsi il cervello con i programmi spazzatura che offrono su ogni frequenza.
Vorrei solo capire perché e dove le agenzie educative non riescono a svolgere il loro ruolo.
Penso alle scuole (di ogni ordine e grado), alla cultura che viene prodotta nelle stanze intelligenti, agli stimoli costanti a cui siamo sottoposti... e mi sorge un dubbio.
Ma non è che forse sono gli italiani a non volersi alfabetizzare?
Certo le agenzie educative hanno i loro bei problemi e i loro anacronismi, di sicuro la rete deve essere governata e scoperta prima di poterci offrire davvero strumenti formativi e culturali però tutto questo non giustifica una percentuale così elevata di analfabetismo.

Si può ovviamente obiettare che i dati sono vecchi di un decennio ma fa qualche differenza?
Un decennio fa eravamo ancora nel Medio Evo e ora siamo nel Rinascimento e le cose sono così cambiate?

Quale nuova sfida educativa ci offrono questi dati?



p.s. Secondo l'attuale legge la televisione deve aspettare ancora qualche anno prima di andare in pensione. Sta tirando le cuoia? Dobbiamo preoccuparci?