giovedì 27 marzo 2014

#pedagogiaepolitica - Pensare pedagogico oggi

Ogni mese il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti" (link del gruppo) propone un tema, una riflessione educativa, alla quale partecipare con un proprio contributo scritto. Una volta raccolti, quest'ultimi vengono ospitati e divulgati dal circuito blogger di Snodi Pedagogici. (link del sito)

Il tema del mese di marzo: pedagogia e politica
"La cura della polis attraverso le pratiche di accudimento sociali. Una dimensione politica dell'educazione che esiste, anche se il termine politica, oggi si confonde troppo spesso con "partito" e può spaventare. Politica ed educazione, invece: due facce della stessa medaglia. Perché se le pratiche educative non diventano cura dei territori e costruzioni di reti di significati sociali, l'educazione perde in partenza la sua sfida. Un'educazione che non ha bisogno dell'aggettivo "civica" per essere sostanziata. Perché educare è già un atto civico. L'educazione tras-forma l'umanità in cittadinanza".
Un tema che va oltre le classiche figure educative e che contempla chi nella società cresce, vive e in questa vede un'occasione da lasciare come eredità alle nuove generazioni.
Inoltre, Snodi Pedagogici, tiene a precisare che il percorso dei blogging day non è casuale, ma facente parte di un progetto culturale più ampio. Quest'ultimo si sta lentamente concretizzando e appena avremo alcune conferme ne daremo l'annuncio, chiedendo a chi ha partecipato fin dal primo se è d'accordo a prendervi parte.
Buona lettura.



#pedagogiaepolitica - PENSARE PEDAGOGICO OGGI della dott.ssa Vania Rigoni

Fare educazione e mangiare con la pedagogia sono le due facce della stessa medaglia, come lo sono la pedagogia e la politica.
La riflessione nata su Snodi Pedagogici di questo mese ha mosso in me tante idee che rispecchiano un pò il mio intero viaggio professionale e personale:
lavorare per costruire un futuro migliore”e non è il solito slogan!!!
Perché secondo voi le persone finito un percorso lunghissimo, come fu il mio, con ben 43 esami di pedo-psico-filo-sto-sociologia hanno scelto di andare a fare un lavoro per 10 anni con uno stipendio di circa 800-900 euro al mese come educatori scolastici?
Perché poi continuare ad aggiornarsi e fare master per restare nel solito ambiente che sottopaga i suoi specialisti?
Noi che abbiamo percorso questo viaggio siamo mossi da un interesse primario: la cura della polis (la politica), nello specifico siamo fermamente convinti che lavorare in educazione sia la via per cambiare la società (e si spera in meglio!).
Andando un po’ a spasso con la macchina del tempo e guardandoci indietro, il ruolo dei precettori e dei maestri è sempre stato di guida e di sprone alle nuove generazioni, erano formatori di menti, sobillatori di nuove idee.
Pedagogia non è indottrinare né inculcare informazioni omologando i pensieri. Pedagogia è fornire strumenti e strategie (o facilitarne la creazione) per essere scopritori del nuovo che avanza.
La politica per tanti anni ha cavalcato con e senza sella il cavallo educazione senza mai valorizzarlo, bensì lo ha strumentalizzato e quando ha potuto lo ha impoverito di idee, di risorse, fino a portare chi vi lavora ad una demotivazione e addormentamento generale.
Se poi guardiamo alle comunità o case famiglia (parlo del territorio fiorentino dove ho lavorato negli anni post scuola) c’è stato un enorme mare di vuoto: lo Stato ha delegato senza prendersi a cuore ciò che avveniva (non solo agli utenti anche ai dipendenti), si è parato dietro a contratti nazionali più o meno regolari e via...il futuro della società deviata è stato messo in mano a “uomini e donne di buona volontà”.
Ecco perché colgo questo blogging come una risorsa per affermare che fare consulenza educativa alle coppie, progettare percorsi ad hoc per bambini e le loro famiglie con manifesti disagi, lavorare nel pre-parto e nel post e infine essere mediatrice familiare è un progetto politico di pedagogia che non sarà mai pagato per quello che ha implicato il professionalizzarsi ma lo sarà ampiamente in termini di soddisfazione per aver contribuito alla costruzione di una società più equilibrata e più felice.
Voglio farvi qualche esempio.
Se una famiglia di oggi dove i genitori lavorano, il bimbo va alla materna tutto il giorno e si ritrova a insieme a fine giornata solo per qualche ora non è detto che quella coppia attivi di sua iniziativa le migliori strategie per lo sviluppo del figlio e allora cosa accade? Lo Stato dopo la gravidanza si è disinteressato di loro, il pediatra si occupa delle malattie, la scuola segnala se il bambino è sbagliato e loro chi li sostiene? Lo psicologo della Asl? Meglio che nulla, mi dico sempre...
Ma non è detto che quel nucleo abbia necessità di uno psicologo, forse avrebbe solo avuto bisogno di un sostegno alla genitorialità che oggi c’è, per fortuna, almeno tramite i percorsi che i colleghi ed io proponiamo (a volte riusciamo a farli gratuiti altre no, perché nel frattempo siamo anche noi consumatori).
Anche la mediazione familiare in separazione e divorzi è un momento di pedagogia politica: una coppia si rompe, un tradimento più o meno fondo si compie, i conflitti si accendono....e i figli? Finalmente anche in Italia sta diffondendosi la cultura del dividersi come coniugi restando genitori uniti, finalmente anche il legislatore ha colto il valore della bigenitorialità: riuscire a favorire il divorzio psicologico, la messa in un angolo dei propri rancori legati all’altro e contemporaneamente attivare la costruzione di un accordo dove i due ex coniugi saranno entrambi vincitori in funzione del benessere dei figli. Tutto questo preserverà quei bambini dagli effetti già faticosi e dolorosi di una separazione dei genitori, evitando loro conseguenti inneschi di possibili disturbi più complessi e aiuterà i due ex a costruire nel futuro nuove famiglie imparando nuovi modi di relazionarsi.
Lo Stato e noi stessi come suoi membri attivi dovremmo avere massima cura dell’educazione come risorsa concreta per il futuro.


Vania Rigoni
Chi sono?
Sono una giovane 41enne fiorentina. Da quando ho 20 anni ho il pallino di fare pedagogia, di studiare i meccanismi che muovono al cambiamento delle persone per aiutarli a trovare le strategie migliori alla loro vita da soli.
Dopo anni come educatore extra e intra- scolastico, ho lavorato nella comunità per Madri dell’Ist. Innocenti a Firenze. Da qualche anno ho un mio studio La Bottega della Pedagogista, che è anche un Blog, nel quale lavoro come Pedagogista clinico, specialista ADHD e Mediatore Familiare in separazione e divorzi.
Sono una Persona ricca di tante emozioni, sensibile alla vita e ai mutamenti sociali. Amo tutte le forme di espressione di sé, perché quando si da voce a noi stessi si crea una comunicazione e anche una relazione con il mondo...e questo è bellissimo.Imparare ad ascoltare gli altri è la via necessaria a vivere bene in una comunità civile.

Tutti i contributi su #pedagogiaepolitica verranno raccolti qui.
I blog che partecipano:

Il Piccolo Doge
Ponti e Derive
La Bottega della Pedagogista
Allenareducare
Nessi Pedagogici
E di Educazione
Bivio Pedagogico
InDialogo
Labirinti Pedagogici
Trafantasiapensieroazione

mercoledì 26 marzo 2014

#pedagogiaepolitica – Per lavoro e non solo

Ogni mese il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti" propone un tema, una riflessione educativa, alla quale partecipare con un proprio contributo scritto. Una volta raccolti, quest'ultimi vengono ospitati e divulgati dal circuito blogger di Snodi Pedagogici.

Il tema del mese di marzo: pedagogia e politica

"La cura della polis attraverso le pratiche di accudimento sociali. Una dimensione politica dell'educazione che esiste, anche se il termine politica, oggi si confonde troppo spesso con "partito" e può spaventare. Politica ed educazione, invece: due facce della stessa medaglia. Perché se le pratiche educative non diventano cura dei territori e costruzioni di reti di significati sociali, l'educazione perde in partenza la sua sfida. Un'educazione che non ha bisogno dell'aggettivo "civica" per essere sostanziata. Perché educare è già un atto civico. L'educazione tras-forma l'umanità in cittadinanza".

Un tema che va oltre le classiche figure educative e che contempla chi nella società cresce, vive e in questa vede un'occasione da lasciare come eredità alle nuove generazioni.
Inoltre, Snodi Pedagogici, tiene a precisare che il percorso dei blogging day non è casuale, ma facente parte di un progetto culturale più ampio. Quest'ultimo si sta lentamente concretizzando e appena avremo alcune conferme ne daremo l'annuncio, chiedendo a chi ha partecipato fin dal primo se è d'accordo a prendervi parte.
Buona lettura.

#PEDAGOGIAEPOLITICA – Per lavoro e non solo. 

Per lavoro e non solo, ultimamente mi sto occupando di Street art, vado in giro per Bologna e dintorni a cercare di scovare questi capolavori, fotografarli per conservarli nella memoria (molto spesso i muri sono abbattuti) e scoprire l’impatto che questa forma d’arte ha su chi vive le città. E’ arte per me, per molti son scarabocchi.
Cercare di capire ti porta a girare oltre che sul territorio anche in rete, alla ricerca di notizie, informazioni, scoprire i “dove” ed i “quando” ed i “perché” più o meno conosciuti. In tutto questo “surfare” mi sono imbattuta in qualcosa che mi ha lasciata stupita, della quale non ero a conoscenza, sicuramente per mia ignoranza e che mi ha fatto riflettere, riportandomi indietro nel tempo, al liceo ed ai tempi dell’Università, alle mie passione di gioventù ma non solo, ha fatto scattare insomma un collegamento mentale tra i tempi della scuola e la mia passione politica. Quello che avevo introiettato quasi meccanicamente è venuto fuori con più cognizione di causa.

In America e precisamente a New York, a Forest Houses nel South Bronx, nel 2013, l’artista svizzero Thomas Hirschhorn ha impiantato uno delle sue opere temporanee dedicate a pensatori e filosofi, il Gramsci Monument. Mi sono chiesta non tanto come mai gli potesse essere venuta in mente questa idea, ma soprattutto come mai abbia pensato proprio ad proprio Antonio Gramsci. Uno svizzero, in America e per la precisione nel Bronx.



Mi sono trovata a ripensare a quanto sia ancora attuale il pensiero educativo di Gramsci, mai come ora, e a quanto sia connesso alla politica, quella alta, quella fatta di valori, principi ed etica, quanto entrambi, il pensiero pedagogico e quello politico, siano importanti e strettamente legati per la formazione dell’individuo.
Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare e nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.”
La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.”
Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.”
E poi ho pensato a come siamo messi oggi e a quanto in apparenza sembra molto cambiata la scuola ed i suoi processi educativi! Cavolo si ha così tanto a disposizione, ora, rispetto ai miei tempi ( vabbè confesso ho più di mezzo secolo alle mie spalle).
Apparenza appunto.
Si è rimasti legati ad antiche concezioni a quando gli studi umanistici, i licei classici e l’Università eran quelle le strutture che dovevano formare le classi dirigenti fornendo loro spirito critico e strumenti di conoscenza, mentre le scuole professionali eran quelle delle masse popolari, che dovevano formare gli operai e la base.
Non si è ancora capito che ai fini della trasformazione della società è necessaria prima di tutto una “formazione umanistica di base” che possa aiutare ad orientarsi per capire il posto che ognuno occupa nella natura e nella società e che è su questa formazione di base che poi può crescere qualsiasi opzione specialistica professionale o scientifica, è così che può nascere il know how ed il pensiero creativo, è così che possiamo pensare di trasformarci in qualcosa di diverso da quello che siamo.
L’educazione, la cultura, l’organizzazione diffusa del sapere e dell’esperienza, è l’indipendenza delle masse dagli intellettuali. La fase più intelligente della lotta contro il dispotismo degli ‘intellettuali di carriera’ e delle competenze per diritto divino è costituita dall’opera per intensificare la cultura, per approfondire la consapevolezza. E quest’opera non si può rimandare a domani a quando saremo liberi politicamente. È essa stessa libertà, è essa stessa stimolo all’azione e condizione dell’azione”.
Mi guardo intorno e penso a come Gramsci era avanti, molto avanti già allora rispetto ad oggi, a quanto il suo pensiero educativo e non solo, pedagogico soprattutto, sia importante ancor di più in questo momento storico, politico e sociale.
Quante riforme della scuola a quanti programmi ministeriali si sono succeduti e a quanto poco sono serviti a formare il “cives” il cittadino partecipe e responsabile.
Che poi questo cittadino partecipe e responsabile è anche genitore, è maestro, è professore, è educatore, è pedagogo, è politico, è “cives” appunto.
Non ne vedo più in giro, salvo che per appropriazione indebita di denominazione, la società e la classe politica odierna sono l’epifania di questo non essere e la cosa che fa più male è che i luoghi comuni han preso il posto dei pensieri e dei principi e tutto si risolve con un “così fan tutti” non ricordandosi che fanno così tutti quelli che fanno così.


L'autrice:
Giusy Fiorentino

Di Bari  ma a Bologna da più di quindici anni, attualmente lavora presso ER.GO, l'azienda regionale per il diritto agli studi superiori dell'Emilia Romagna. 
Laureata in Scienze Politiche ha un Master in Human Resources Management & Giurista d'Impresa. 
Da grande avrebbe voluto fare tutt'altro, il tutt'altro lo cerca ancora.




Tutti i contributi su #pedagogiaepolitica verranno raccolti qui.

I blog che partecipano:

Il Piccolo Doge
Ponti e Derive
La Bottega della Pedagogista
Allenareducare
Nessi Pedagogici
E di Educazione
Bivio Pedagogico
InDialogo
Labirinti Pedagogici
Trafantasiapensieroazione


venerdì 14 marzo 2014

Un post-it per Michele Serra

Ho letto il suo libro. 

Ho percorso, pagina per pagina, il rapporto problematico con il figlio tardo-adolescente sdraiato sulla sua stessa -sembra - incomprensibile età.
Ho cercato similitudini e differenze in questa lunga lettera che ha scritto a quel ragazzi nel tentativi di...

Di?

Ho poi scovato in rete commenti peda-socio-psico-educativi, riletture politiche dei messaggi ipotizzabili tra le righe.

Senza entrare nel merito della disanima politica, per la quale non ho le conoscenze necessarie mi limito a commentarlo come padre ed educatore: un completo fallimento su entrambi i fronti.

Terminata la lettura avevo solo voglia di scrivere io una lettera.
Non al figlio sdraiato, quanto al padre ripiegato su sé stesso.

Poi mi sono reso conto che sarebbe bastato un post-it.

"Svegliati, sei un padre! Smetti di scrivere e parla con tuo figlio!"


sabato 8 marzo 2014

Di assistenti sociali e traumi infantili

Mio padre usava la mazza da baseball. Me la picchiava sotto la pianta dei piedi perché lì c'erano le terminazioni nervose e sentivi dolore fino al cervello. Però non si formavano i lividi, così nessuno se ne sarebbe mai accorto.
La mamma mi ha portato al mercato ed io ero contento di stare con lei quel giorno. Poi lei è andata a fare un giro con le sue amiche e mi ha lasciato da solo. Avevo 5 anni. Mi ha abbandonato?
Di notte cadevano le bombe e l'unica cosa che riuscivi a sperare era che non cadessero su casa tua. Poi al mattino uscivi di casa e scoprivi quale dei tuoi amici non avresti più rivisto. Secondo te era brutto essere contento che non fosse capitato a te?
Papà legava la mamma alla sedia e la picchiava e poi usciva. Ma prima ci diceva di non slegarla altrimenti avrebbe picchiato anche noi come lei.
Mia madre si era innamorata di quell'uomo e ha deciso di seguirlo. Vivevamo in una comune.  Quando io facevo qualcosa di sbagliato per punirmi mi picchiavano sui testicoli oppure mi immergevano la testa in un secchio d'acqua. Così, dicevano, avrei capito dove sbagliavo. Intanto mia madre pregava insieme a loro. E non faceva nulla.
Io urlavo sempre perché volevo che i miei mi sentissero. Ma non potevano perché erano sordi. Ed io ero sempre arrabbiato perché non mi ascoltavano. E spaccavo tutto. Per farmi sentire.
La mamma cucinava per me e i miei fratelli e puliva sempre la casa. Non sapeva però quello che facevamo quando uscivamo in cortile. C'era sempre quel tizio che ci dava cinquantamila lire se consegnavamo un pacchetto quattro palazzi più avanti. Io non ho mai chiesto cosa ci fosse nei pacchetti. Ma so che non c'era nulla di buono.

Queste sono solo alcuni dei racconti che ho ascoltato nei quasi vent'anni che ho passato facendo l'educatore in comunità. Narrazioni di ragazzi che hanno scelto, dopo essere stati sradicati dalle loro famiglie, di confidarsi e affidarsi alla struttura che li ospitava. Tradendo, qualche volta, il loro sistema familiare.
Sono forse un centesimo delle storie che ho sentito. E sono certo che per ogni storia che ho ascoltato ce ne sono almeno un centinaio che non hanno avuto il coraggio di emergere, di essere narrate.

Poi ci sono trasmissioni televisive che raccontano di assistenti sociali che "rubano i bambini" che ingiustamente verrebbero sradicati dalle loro famiglie e dai loro affetti. Qualche volta perché la casa non è pulita...
Ma le trasmissioni televisive fanno il loro lavoro: puntano al sensazionalismo per raggiungere uno share che permetta loro di sopravvivere.
Perché ragionano come ogni organizzazione che ha come primo obiettivo la propria sopravvivenza.
Anche se cercano di fare un giornalismo di denuncia. 
E non ce l'ho con loro perché so che funziona così.

Come so che ci sono operatori sociali (anche assistenti sociali) che non sono in grado di svolgere il proprio lavoro perché non ne hanno la capacità, la giusta preparazione o l'etica necessaria. 
Ma vale lo stesso per qualche cassiera del supermercato, impiegato delle poste, idraulico o insegnante.
Senza che la categoria tutta venga additata e stigmatizzata per questo.

Non voglio attaccare o difendere la categoria delle assistenti sociali.

Sono solo infastidito da chi, senza avere le giuste informazioni, accetta passivamente ciò che propongono le trasmissioni tv e che vengono rimbalzate dai social o coloro che, in modo strumentale, cavalcano l'onda per raggiungere i propri obiettivi senza discriminare su chi potrebbe fungere da cassa di risonanza.

In nome dei traumi di quei poveri bambini strappati ingiustamente dalle loro famiglie.

Ascoltate solo qualcuna delle storie che ho sentito io. Che hanno ascoltato anche altri.
Poi ne riparliamo.

mercoledì 5 marzo 2014

Una scena educativa

Apparecchiare una scena educativa significa predisporre e agire dei rituali: delle azioni che concretamente segnino il passaggio in un tempo e spazio dalla qualità che essi stessi fanno intuire poter essere diversa, suscitando interesse, curiosità.Ed entrare in scena significa entrare in un contesto, essere ingaggiati in un’impresa fatta apposta per provocare cambiamenti.



ok guys... relax... be fine... don't worry!




Ecco una delle scene educative per me più nette, dirompenti e lampanti.

Sarà perché lavoro quotidianamente con bambini e adolescenti e quindi riesco ad immedesimarmi.
Sarà perché l'esplosione di energia che emerge da questo stralcio di film è contagiosa. 

C'è la paura di affrontare un qualcosa di nuovo, sconosciuto e faticoso.
C'è la guida, la voce tranquillizzante che supporta, sostiene e indirizza.
C'è il gruppo, che anche se qualche volta ti invita a fare atti che da solo non faresti, in altre situazioni ti aiuta ad affrontare i tuoi limiti. Perché una paura divisa per dieci qualche volta fa un decimo di paura.
C'è la società, gli altri. Che ti guardano, qualche volta ti giudicano, ma spesso aspettano solo di vedere cosa sai fare.
C'è il binario, quel "lalalalala" tranquillizzante che però non limita, ma lancia verso il nuovo.
C'è l'educatore, che si mette in gioco in prima persona infondendo coraggio nell'educando. Ma che poi è capace di farsi da parte.

E sa stupirsi di quell'educando che supera il maestro.
Che riesce a volare da solo. 
Con sicurezza.

Quando questo accade è di certo un Happy Day