Non sono un grande appassionato di ospedali. Ma credo che questa mia caratteristica sia presente in molti miei simili, appartenenti alla specie umana.
Capita però che io ci debba andare. Se posso evito, ma se non si può fare altrimenti ci vado.
Un po' più volentieri quando si accompagna qualcuno, un po' meno quando tocca a me direttamente...
Ieri ero quindi in quello strano limbo rappresentato dal mio andare in ospedale ma del non dover essere oggetto di visita da parte di alcuno.
La visita era per la mia piccina. Niente di preoccupante: un normale controllo oculistico per capire se il bruciore agli occhi è semplicemente perché assomiglia ad una topina da biblioteca che passa ogni suo momento libero a leggere il sempreverde Topolino o se qualche diottria sia stata smarrita per strada e occorra porvi rimedio in modo artificiale.
Una cosa è certa: mia figlia non è Riccardo-Cuor-di-Leone e di fronte a ciò che non conosce si intimorisce. Ma credo che anche questa caratteristica sia comune a molte appartenenti alla specie umana di sette anni.
Prova a spiegarle che una visita oculistica non è come un prelievo del sangue o un tampone oro-faringeo, che nulla di invasivo o di doloroso o anche solo di lontanamente fastidioso le verrà fatto, che il papà sarà al suo fianco per farle coraggio... Quando la fifa è blu, solo l'esperienza insegna. Ne sa qualcosa il dito del medico che ha fatto l'ultimo tampone a mia figlia alla ricerca di un possibile streptococco.
Ma sono abbastanza tranquillo da questo punto di vista perché non sto andando in un Ospedale Pediatrico Specializzato ma ci sono vicino: è l'ospedale della zona con i reparti di ostetricia e ginecologia, neonatologia, pediatria... insomma è dove normalmente si va con i piccoli malati perché sono più attenti.
Senza farla tanto lunga nella descrizione della visita riassumo il tutto con la frase detta al telefono di mia moglie appena uscito dall'Ospedale: "Io in questi posti con mia figlia non ci devo venire! Metterei le mani addosso a tutti!".
Torno a casa e sul mio gruppo di Facebook preferito incappo in una conversazione che, partendo dalla bagarre creata dal programma SOS Tata, affronta la preparazione pedagogica dei pediatri.
Come buttare benzina sul fuoco!
Mi butto nella conversazione con un commento quasi al fulmicotone "...Se non ho messo le mani addosso a quel medico è solo perché sono educato e avevo davanti mia figlia...".
Ma poi, meno padre e più educatore, aggiungo la mia idea sulla situazione. L'importanza dell'antropologia medica come punto di partenza per la formazione dei medici; l'evoluzione della scienza medica che - da disciplina che considerava il paziente come un tutt'uno tanto da utilizzare solo sanguisughe e purghe per curare il tutto - si è trasformata in disciplina clinica che ha completamente annullato il soggetto-paziente concentrandosi esclusivamente sull'organo malato e sulla possibile cura (anche a discapito di altri organi, a volte...); la necessità che si arrivi ad una medicina sistemica che metta al centro la persona e non la malattia, perché la salute non può solo essere assenza di malattia ma deve essere considerata uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale come già nel 1984 la definiva l'Organizzazione Mondiale della Sanità. E dunque "[la definizione di salute dell'OMS del 1984 è una] definizione che, pur bisognosa di chiarimenti e integrazioni, ha avuto il merito di liberare il problema salute dalla gabbia medico-specialistica in cui lo si era confinato e di aprirlo a considerazioni di più vasto respiro, che hanno a che fare con la psicologia, con la filosofia, con l'etica, con la pedagogia, con la vita concreta delle persone, a cominciare dalla famiglia" (Corradini L. Cattaneo P. - 1997 - Educazione alla salute, La Scuola, Brescia).
Come posso allora coniugare l'esperienza ospedaliera nella quale la mia povera piccina si è dovuta confrontare con un medico che nemmeno sarebbe stato in grado di relazionarsi con un adulto e l'Associazione Culturale Pediatri che muove "guerra a quella che forse è la più popolare trasmissione dedicata ai bambini seguita dai genitori"?
A prescindere dalla mia personale opinione sulla trasmissione SOS Tata mi ritorna in mente il monito di un gruppo di educatori, pedagogisti e consulenti pedagogici che un paio di settimane fa si sono incontrate sulla sponda di un lago per ragionare, tra le altre cose, su come diffondere una cultura pedagogica non solo mirata alla marginalità e alla devianza, ma in ogni aspetto della vita quotidiana.
Nessun commento:
Posta un commento