Uff... una nuova polemica
che fa il giro del mondo.
Dalla Francia a Venezia e
via per tutti i social (che ormai assomigliano sempre più a casse di
risonanza che a veri e propri luoghi di condivisione e riflessione)
rimbalzano le opinioni pro o contro l'abolizione dei termini madre e padre dai moduli di iscrizione ad asili e scuole (ovvero dai
primi cancelli che i nostri figli attraversano per entrare in società
e smettere di essere “solo” figli nostri) sostituendoli con
genitore 1 e genitore 2.
Personalmente questi due
termini mi fanno venire in mente le Bananas in Pyjamas, personaggi
semi-divertenti anche noti come B1 e B2 che quelli che come me hanno
un figlio mediamente piccolo avranno ben presente. Chi non li
conosce... beh, sono due Banane (ovviamente abbigliate con un pigiama
a righe) che vivono nel magico mondo di Cuddlestown tutte le loro
avventure. Come noi genitori viviamo le nostre avventure nel mondo
reale.
So che la questione
andrebbe affrontata più seriamente che con un parallelo ai cartoni
animati perché apre – come sempre – un mucchio di questioni più
o meno politico-legali come il riconoscimento delle coppie di fatto,
l'adozione da parte di coppie omosessuali, le sempieterne diatribe
sulla potestà genitoriale, sulla monogenitorialità e sull'affido
più o meno condiviso; ma a me piace semplificare e calare la
questione su situazioni concrete. Così, giusto per capirci un
qualcosa di più.
E quale modo più
semplice per sciogliere una matassa così contorta che ribaltare la
situazione e affrontarla come farebbero dei bambini chiedendosi cosa
ne penserebbero i nostri figli? D'altra parte staremmo discutendo di
come loro devono chiamare noi anche se non sanno (né gli tocca, per
fortuna) compilare moduli, non conoscono il significato di “chi ne
fa le veci” o di “potestà genitoriale”. I bimbi sono solo
abituati a chiamare gli adulti che gli stanno intorno con... gli
appellativi che sono stati educati ad utilizzare.
Eccolo il vero nodo della
questione, secondo me. A prescindere dall'essere riconosciuto come G1
o G2 sulla modulistica di iscrizione a qualsivoglia gruppo sociale,
è come un adulto si pone nei confronti del cucciolo di cui è
responsabile ad essere prioritario.
Ci sono genitori naturali
che gettano i propri figli nei cassonetti (e nemmeno nella raccolta
differenziata), conosco genitori adottivi che amano la loro prole
giuridica più di coloro che li hanno messi la mondo (e abbandonati),
ho incontrato mono-padri e mono-madri che si sobbarcano il doppio
ruolo con il triplo della fatica per evitare ai propri figli di
subire la mancanza dell'altra metà della mela che [per un motivo o
per l'altro] non c'è, mi confronto con famiglie allargate che si
adoperano per fare del loro meglio nell'educazione dei figli, ho
lavorato con educatori professionali che – in strutture di
accoglienza per minori – si relazionano con “minori non
accompagnati” con un ruolo educativo-affettivo importante nel
processo di crescita di quei ragazzi lasciati soli dalla vita o
peggio buttati in un mondo che nemmeno conoscono.
Tutto nell'interesse del
minore.
Cosa direbbero questi
bambini-ragazzi in merito alla questione di G1 e G2?
Se chiedessi a mia figlia
“Chi sono io per te?” sono certo che mi abbraccerebbe forte forte
e mi risponderebbe “Sei il mio Tati”.
E poi magari tornerebbe a
guardare B1 e B2 ignara di quanto la società attuale sia
rappresentata in quel cartone animato.
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