sabato 6 luglio 2013

Obiettivi e strumenti: una confusione pericolosa?

"Salve a tutti. Volevo porgervi una domanda: qualcuno di voi ha esperienza di educativa domiciliare? Che attività avete proposto alle famiglie?"

"Gente buongiorno! Voi che attività proporreste in una comunità mamma-bambino? Ah i bimbi vanno dai 2 ai 12 anni!!!"

"Ciao! Inizio a lavorare in un nido. Mi suggerite qualche attività da svolgere con i bambini?"

"Chi di voi ha prestato servizio nelle scuole d'infanzia? Chi mi suggerisce attività da far svolgere ai bambini?"


Questi sono solo alcuni dei post che si trovano nei gruppi per educatori professionali di Facebook.

I social network sembrano la nuova frontiera della formazione e della supervisione degli educatori. Lì si trovano le più disparate richieste di supporto nel lavoro quotidiano.
Già questo sembrerebbe un paradosso! 
Perché cercare supporto alla propria professione sul web mi dice che i dispositivi di formazione e di supervisione evidentemente non funzionano come dovrebbero.

Ma non è questo l'aspetto che mi ha colpito in questi post.
Attività, attività, attività...
Tutti alla ricerca di suggerimenti per le attività da svolgere, per i laboratori da proporre... metodi e tecniche per riempire il tempo.
Due quesiti mi piace dunque portare alla comune riflessione relativamente a questo argomento.
  1. Gli educatori (soprattutto i neo-educatori) conoscono la differenza tra obiettivo e strumento? 
  2. Cosa si nasconde dietro a questa spasmodica ricerca dell'attività intesa come "qualcosa da [far] fare"?
Il primo quesito già di per sé propone una grande riflessione su come il lavoro educativo viene percepito.
Confondere un obiettivo (pedagogicamente pensato) con uno strumento significa - forse - non avere chiaro che la prassi pedagogica deve essere basata su un processo mentale non indifferente e su step che non possono essere saltati e/o dimenticati. 
Questo processo mentale viene riassunto nel progetto educativo.

Il progetto educativo descrive i bisogni che devono essere soddisfatti. L'educazione considera il bisogno come la distanza esistente tra la situazione educativa che si vorrebbe ottenere e quella effettivamente presente in un contesto. L'operazione che permette di individuare i bisogni di natura educativa è definita analisi dei bisogni educativi
(Fonte: Wikipedia)

Osservazione, valutazione dei bisogni, analisi delle risorse, risoluzione dei problemi... sono tutti aspetti che devono essere presi in considerazione nel momento in cui si va ad affrontare una "situazione educativa" che necessita di un intervento di tipo professionale.
Lo strumento (in sé) altro non è che la concretizzazione delle azioni che l'educatore ha progettato nella sua mente per il raggiungimento degli obiettivi individuati.

E da qui nasce il secondo quesito.
Ogni corso o percorso formativo ci insegna che l'educatore agisce "attraverso il fare". "Il fare [con]" è lo specifico dell'educazione che rappresenta però uno strumento, una modalità operativa che ci è di supporto nel nostro operato quotidiano.
"Il fare" non deve confondersi con "l'essere".
Cosa si nasconde quindi dietro a questa prassi educativa?
Quella che io chiamo "organizzazione da villaggio turistico".

ore 8.00 risveglio muscolare
ore 8.30 stretching
ore 9.00 laboratorio teatrale
ore 10.00 laboratorio emozioni
ore 11.00 laboratorio cucina
ore 12.00 gioco aperitivo

La confusione tra animare ed educare diventa quindi facile [ed è qui - peraltro - che le altre discipline sociali riescono, meglio della pedagogia, a vendersi sul mercato relegandoci ad un ruolo marginale e non riconosciuto].
Con l'aggravante che quando un educatore si nasconde dietro al fare come attività principale del proprio lavoro dimostra una fragilità pedagogica problematica confermando l'ipotesi di coloro che pensano che "essere un educatore" significa "far giocare i bambini".

Giovani (e vecchi) educatori: riflettiamo sulla vera natura del nostro lavoro e ricordiamo[ci] che l'attività pedagogica non può esimersi da una progettualità e da una intenzionalità.





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