domenica 29 luglio 2012

Io e gli altri: chi siamo? L'autobiografia come strumento di auto-formazione.

Non viaggio mai senza il mio diario. 
Si dovrebbe avere sempre qualcosa di sensazionale da leggere in treno.
(Oscar Wilde)



Chi di noi non ha mai scritto un diario o ha pensato di farlo? Quante volte raccontiamo la nostra storia alle altre persone per presentarci o per rappresentare la nostra immagine? La domanda principale dovrebbe essere "Chi siamo?" mentre in realtà ogni volta che raccontiamo di noi la domanda a cui vorremmo rispondere è "Chi vogliamo rappresentare?"
L’elemento più problematico del concetto di identità è costituito dal fatto che con un’unica parola si fa contemporaneamente riferimento a ciò che è uguale (a sé) e ciò che è diverso (da altri): noi riconosciamo unicità ed identità ad una persona in quanto essa ha delle componenti proprie che la rendono differente da altre persone. L’identità, quindi, nasce da un rapporto dell’individuo, della sua soggettività e della sua storia con gli altri e non si costruisce soltanto intorno alla domanda “Chi sono io?”, ma anche intorno alle domande “Chi sono io in rapporto agli altri?” e “Chi sono gli altri in rapporto a me?”.
L’uomo fa capo a quattro grandi aree concentriche di appartenenza:
1.   alla prima, che potremmo definire area dell’individualità, afferiamo in quanto soggetti che cercano di realizzare dei fini personali;
2.    nello stesso tempo siamo anche inseriti nella rete della socialità primaria (principalmente la famiglia) che incide fortemente sul nostro comportamento e sulla nostra identità;
3.   ognuno di noi è poi membro di un macrosoggetto collettivo (cittadino di una nazione, membro di una comunità religiosa): le identità etniche, religiose, politiche, nazionali afferiscono a quella che definiamo socialità secondaria che si sovrappongono a quelle specifiche della socialità primaria;
4. infine, tutti siamo inseriti in una parte del mondo (una cultura, un continente) e siamo membri della specie umana.
La formazione della nostra identità nasce dalla rappresentazione che noi abbiamo degli altri perché noi “siamo qualcuno” solo in confronto a quello che gli altri vedono di noi.
Da ciò ne consegue che la nostra identità - in realtà - è rappresentata principalmente dal nostro ruolo. 
Per esemplificare il concetto prendiamo ad esempio la nostra rappresentazione di Io/figlio: noi siamo figli in relazione all'esistenza dei nostri genitori (presenti o assenti, viventi o deceduti che siano), perché senza di loro non saremmo mai figli.
In quest'ottica risulta evidente il fatto che la nostra identità esiste solo in relazione con quella di qualcun altro.
Come educatori - quindi - che tipo di rappresentazione abbiamo di noi stessi? Che tipo di "identità" presentiamo agli altri?
Siamo perennemente nel binomio identità/ruolo senza sapere che identità e ruolo - in realtà - sono strettamente connesse una all'altra.
L'educatore ha la propria identità (che deve conoscere, senza la quale non può essere "strumento" di sé stesso) ed il proprio ruolo (costituito dall'apprendimento accademico, dall'esperienza, dalla progettazione, dal rapporto con i colleghi e con l'istituzione): solo riuscendo a fondere l'una con l'altro può essere davvero Educatore.
Uno degli strumenti principali per poter affrontare questo binomio è proprio l'autobiografia: raccontare di sé a sé stessi. Il racconto di sé, la scrittura e la rilettura del proprio diario, sono uno strumento che ci permette di "conoscere come gli altri ci conoscerebbero se ci raccontassimo a loro".
Chi vuole far parte di questo esperimento?

5 commenti:

  1. Maria su facebook (che non riesce ancora a commentare qui) scrive "Concordo sull'utilità personale e professionale di sapere chi si è come persone e come educatori ( o professionisti in generale). Sono incuriosita dagli strumenti, poichè credo fermamente, e professionalmente, che ce ne sia più di uno. Molto di noi viene detto anche dall'altro poi, altro da sè che ci vive e vede, sente, in cose di noi che potremmo non cogliere."

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  2. Il processo pedagogico del metodo autobiografico è proprio quello di utilizzare il dispositivo comunicativo, attraverso la stimolazione della memoria e delle sensazioni, per istituire un percorso circolare di ricostruzione di sé, della propria identità e del proprio sistema familiare non tanto per distaccarsene necessariamente, quanto per rielaborarlo in chiave clinico critica. La pragmatica educativa viene quindi connotata dalla dimensione dell’attraversamento dell’esperienza. Non si tratta tanto di ricostruire la percezione del rapporto con la propria storia, ma di puntare le attenzioni su quello che l’esperienza sta offrendo, di permettere di simbolizzarla, di renderla attraversabile grazie ad una serie di strumenti.

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  3. Mi piacerebbe raccogliere storie professionali di educatori, per poter ragionare sul metodo autobiografico come strumento di autoformazione. Chi vuole partecipare?

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  4. Potrei essere interessata. Come vorresti procedere?

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    1. Prima di procedere vorrei trovare almeno tre/quattro persone interessate per trovare pinti di contatto e di distanza e da quelli aprire discussioni. Vorrei che non fossero però di mia conoscenza così da essere "vergine" rispetto alle loro storie. Per quello ho lanciato qui l'invito. Se conosci qualcuno che potrebbe essere interessato faglielo sapere o condividi questo post sulla tua pagina. Io rilancerò l'idea anche sulla pagina degli educatori professionali.

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