martedì 25 dicembre 2012

Naufraghi alla deriva

"Tuttora non so perché ci si imponga di attaccarci, come naufraghi alla deriva, ad un passato, qualunque esso sia. Forse la scarsa fiducia in noi stessi, che si traduce in paura di non saper affrontare il futuro.
Un rapporto che sta finendo è un tronco fradicio a cui ci si aggrappa per paura."
(Niente da nascondere - F. Casali - Koi Press 2012)
 
 
 
Ho estrapolato questa frase. Forse non la più bella o la più significativa.
Certamente quella che mi ha colpito di più.
Il tema dell'attaccamento e del distacco - in educazione - è sempre presente. Nelle relazioni educative, quelle significative, questo argomento è sempre in prima fila.
Ma una relazione educativa è anche quella che abbiamo con noi stessi, ed allora decidiamo se rimanere attaccati o distaccarci dal nostro passato.
Il passato è differente dal ricordo: il primo può rappresentare una gabbia mentre il secondo è ciò che ci portiamo dentro, che ci ha formati e che ci rammenta da dove siamo partiti.
Così come il futuro è differente dalla speranza: uno è qualcosa di ignoto, ma che possiamo cercare di costruire; l'altra è il motore che ci fa andare avanti.
La vita è cambiamento: un costante e perenne mutamento di ciò che siamo, di ciò che ci circonda e di ciò che vogliamo o desideriamo.
Le fasi evolutive sono rappresentate da distacchi e da perdite.
Quando si rifiutano questi distacchi e queste perdite per scarsa fiducia in noi stessi (o per paura del dolore, della sofferenza che il "lasciare" ci provoca) rimaniamo chiusi in una gabbia.
Credo però che la paura di affrontare il dolore, di non volerlo vivere così da poterlo superare, sia ancora pià doloroso.
Ed è ciò che ho percepito tra le righe leggendo questo libro.
 
L'autore affronta in modo molto personale il tema del dolore e della sofferenza.
Può piacere o non piacere come ce li racconta.
Ma ce li propone così come sono, o almeno così come sono "per lui".
Ecco perché mi ha spinto a ragionare sulla relazione educativa che abbiamo con noi stessi.
Quanto è significativa? Quanto è consapevole? Come la gestiamo? Che strumenti utilizziamo per mantenerla viva e vivida? Come e quanto cerchiamo di educarci?
Il rischio che un educatore corre, nella sua professione, è di dedicarsi talmente tanto alle relazioni con gli altri da dimenticare o sottovalutare quella più intima con sé stessi.
Di perdere la propria strada.
E la strada di un educatore è irrimediabilmente anche quella di un essere umano poiché, per quanto si possa tentare di razionalizzare una professione per evitare che ci ingoi e ci risputi malconci, ogni educatore è un essere umano.
Il rischio quindi diventa doppio: un educatore e una persona che hanno smarrito la direzione.
Sprofondando nel dolore.
Attaccandosi, come un naufrago alla deriva, a ciò che era prima.
Senza riuscire ad innescare un nuovo cambiamento.
 
Rivitalizziamo quindi la relazione che abbiamo con noi stessi, non dimentichiamo di educarci ogni giorno al rispetto per la nostra persona, ritroviamo la direzione (professionale e personale) in ogni momento della nostra esistenza.
Senza niente da nascondere.
 


1 commento:

  1. Già, la gabbia, "il copione" come direbbe il caro Berne, quella trappola che ci impedisce di scegliere. Di farlo con consapevolezza. Non è facile uscirne, proprio perché anche quando è disfunzionale, e' comunque familiare, conosciuta, la sappiamo gestire anche se ci limita. Limita il nostro presente e il nostro futuro, visto proprio nell'ottica che hai descritto tu egregiamente.
    Ma come liberarsi da quella gabbia?
    L'essere umano spesso nemmeno sa di esserci.
    Quando lo sa, spesso se ne accorge quando ormai e' già dentro.
    E intanto la vita va avanti.
    L'educatore, come tutti coloro che operano nelle relazioni di aiuto, dovrebbe avrebbe quella consapevolezza di se' sufficiente per lo meno a riconoscere le proprie " trappole".
    Spesso non è' il lavoro educativo che ci impedisce di farci carico di noi stessi.
    A volte siamo proprio noi che ci buttiamo nel lavoro a capofitto proprio per non doverci fare i conti.
    Altre volte, curando gli altri, curiamo anche noi stessi.
    Ma l'importante e' esserne coscienti.
    Sei d'accordo?

    Anna

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