sabato 29 dicembre 2012

Fuga di cervelli

Scienziati che migrano verso paesi stranieri?
Giovani talentuosi che escono dalle università e vincono borse di studio lontane dagli atenei che li hanno formati?
Geni che vendono le proprie capacità fuori dall'Italia?

No.

L'immagine di un cervello che fugge dal corpo mi è apparsa questa mattina quando ho sentito la notizia della studentessa di Nuova Dehli morta dopo lo stupro subito dal branco.
Intanto l'immagine stereotipata (lo ammetto) che avevo dell'India si è dissolta in un istante sostituendo santoni, vacche magre, biciclette e divinità con un gruppo di idioti che, in pieno stile "occidentale", si riuniscono per fare del male ad una persona.
Ad una vittima.

Ma oltre a questo ecco la fuga dei cervelli.
Mi immagino questo gruppo di ragazzi (individualmente dotati di cerebro) che si riuniscono e, man mano che formano il gruppo, vengono abbandonati dai loro cervelli.
Come un gruppo di zombie che si aggira per la città in cerca di cibo, guidati solo dal cieco istinto e dal sordo bisogno di soddisfarsi.
Come degli ectoplasmi alieni guidati da una unità di pensiero unica che ne determina gli agiti.
Con la semplicità del linguaggio del sistema binario:
1 = acceso
0 = spento.
E chissà come mai il branco è sempre su 0!

Le dinamiche psicopedagogiche di questi avvenimenti sono ormai tristemente note: abitudine a vedere soddisfatto ogni proprio bisogno senza nessuna fatica, identità individuale debole che ricerca la propria forza nel calore confortante del gruppo, senso di inferiorità che viene sublimato solo attraverso l'uso della superiorità fisica, emulazione...
E il tutto senza scomodare qualche "personaggio" con abito nero e collarino bianco particolarmente  illuminato che semplificherebbe il tutto condendo l'idiozia generale con una posizione precisa sul femminicidio e sulla colpa della donna "tentatrice".
Non c'è più nemmeno bisogno, caro padre, di giustificare (o tentare di farlo) la follia collettiva.
Siamo ormai ad un punto in cui la follia collettiva si autoalimenta e va avanti anche da sola!
 
Ripeto: il problema non è capire quali sono le motivazioni che portano a questi episodi.
La sostanza sta nel cercare di capire cosa possiamo fare perché queste situazioni non si verifichino più.
Come ancorare i cervelli ai rispettivi corpi?
 
Bisogna partire dalle famiglie: che devono superare il gap generazionale.
Non quello con i propri figli, ma quello con i propri genitori. Parlo di quella dinamica che è partita dal "Ho rinunciato a troppo nella mia vita e non voglio che i miei figli debbano farlo" dei nostri genitori ed è arrivata al "Per i miei figli voglio essere un amico" che ha contraddistinto buona parte della nostra generazione.
Essere un genitore significa - in primo luogo - assumersi la responsabilità di trasformare i propri figli in adulti.
 
Per passare poi alle agenzie educative (la scuola, gli oratori, i centri aggregazione, le associazioni sportive) che non devono abdicare al loro ruolo educativo in nome di una rivendicazione di altro che ha semplicemente il sapore della paura.
Ancora una volta emerge il problema della responsabilità.
 
Per arrivare infine alla società tutta, che altro non è che una somma sistemica degli individui.
La "società" è normalmemte il capro espiatorio di tutti i problemi. Il deus ex-machina che ordirebbe il male alle nostre spalle.
Ma la società altro non è che il nostro specchio, l'immagine - leggermente increspata - di ciò che siamo noi.
Il nostro Ritratto di Dorian Gray.
E si ritorna quindi, in una circolarità sistemica, al senso di responsabilità dell'individuo.
E non si può prescindere da questo.
Per ancorare - in primis - il nostro cervello (e ognuno sostituisca "nostro" con "mio") al proprio corpo.

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