La notte appena trascorsa è stata lunga e faticosa. Faceva caldo e le zanzare attaccavano insistentemente, peggio che durante i bombardamenti su Milano della prima guerra mondiale.
Poi arriva la ciliegina sulla torta: "Posso stare qui con voi?".
Chi mi conosce o ha imparato un poco di me leggendomi sa che mi è impossibile rispondere negativamente a questa domanda. Sorrido, mi posiziono sul bordo più esterno del letto e accolgo la mia piccolina già pregustando la gioia che proverò quando mi sveglierò con lei accanto.
Anche se le zanzare continuano ad attaccare (nonostante il tentativo di sterminio di mia moglie), anche se il caldo (in tre) si fa ancora più opprimente, anche se so già che domani il risveglio sarà faticoso per tutti.
Poi il giorno dopo arriva, e tutte le aspettative notturne si confermano.
Il risveglio è faticoso.
Il caldo mi ha fatto soffrire tutta la notte.
Le punture di zanzare sono evidenti sulla pelle.
Svegliarmi accanto alla mia principessa mi fa cominciare bene la giornata!
Mentre la mia piccola ancora dorme e la mia dolce metà è già andata a lavorare (eh si, qualcuno dovrà pur farlo!) io mi godo il silenzio della casa e il bagno tutto per me. Visto che in una casa con una donna e mezza non succede praticamente mai!
Mentre mi faccio la barba la mente corre e i pensieri si accavallano velocemente.
Proprio ieri, mentre passeggiavo sul lungolago con uno dei miei ragazzetti mostrandogli le foto del mare, è spuntata un'immagine della mia piccolina che se la dorme beatamente (e decisamente di traverso) nel giaciglio di mamma è papà.
"Perché è nel lettone?" mi ha chiesto.
Sembra una domanda semplice, ma non lo è. Perché lui è in comunità e non ha un lettone a cui approdare nelle notti di bisogno.
Il pensiero successivo è naturalmente volato a quando io facevo l'educatore in comunità, a quei cinque anni in cui - invece dei "soliti" adolescenti - ho lavorato nella comunità dei "piccoli".
Ricordo come se fosse oggi quella "notte prima degli esami" di tanti anni fa. L'esame non era il mio, ma quello di uno dei giovani ospiti della struttura.
L'agitazione era talmente forte che lo ha spinto ad alzarsi, a superare il timore di entrare di notte nella camera dell'educatore (anche se la porta era - fisicamente e metaforicamente - sempre aperta) e dichiarare apertamente la sua paura.
Un passo estremamente difficile per un ragazzetto orgoglioso e cocciuto come lui.
Non ho potuto far altro che accoglierlo nel piccolo lettino, aspettare che si addormentasse e trasferirmi sul divano per concludere il sonno.
Lasciandolo ancora solo con le sue paure.
Ecco la mancanza del lettone.
E dei suoi occupanti.
Non voglio entrare nel merito della discussione se sia educativamente corretto o no far dormire i propri figli nel lettone, o entrare nel merito delle dinamiche di coppia.
Riflettevo semplicemente sul fatto che quando un luogo accogliente manca, le discussioni sono superflue.
Manca e basta.
Il lettone è la metafora dell'abbraccio di mamma e papà, della sicurezza di poter dormire protetto tra le due persone che più ci sono vicine nei primi anni della nostra vita, della tranquillità che non si verrà mai respinti in un momento di paura, di difficoltà, di bisogno o semplicemente di "voglia di coccole".
Il lavoro educativo deve trovare la strada per sopperire a questa carenza?
Certamente si, ma lo può fare solo in minima parte.
Perché un Lettone Educativo, purtroppo, non potrà mai sostituire l'originale.
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