lunedì 24 settembre 2012

Deserto istituzionale: dove sono i servizi?

Un educatore segue il percorso scolastico di un minore multiproblematico per un anno. Successivamente, per motivazioni personali, non riesce più a farlo e si prodiga per cercare un collega che lo sostituisca.
Leggo l'annuncio e lo contatto. Si rende subito disponibile a spiegare a grandi linee la situazione e mi fornisce il numero di telefono della famiglia (che gestiva in passato i rapporti con l'educatore) e della scuola. Naturalmente contatto entrambi: la famiglia non sa nulla e ad ogni mia domanda rimanda all'educatore, la scuola risponde che "non hanno ancora preso in carico la situazione per effettuare un'adeguata progettazione dell'intervento".
Richiamo l'educatore che mi propone un incontro in cui spiegarmi tutto ciò che sa.
Quando ci vediamo mi racconta di una situazione molto difficile nella quale si è trovato: il ragazzo ha un disturbo di tipo borderline oppositivo provocatorio aggravato da un ritardo mentale grave; la famiglia è disfunzionale, hanno problemi di tipo penale-amministrativo e di gestione del figlio; la scuola ha sempre offerto poca collaborazione all'educatore durante lo scorso anno scolastico.
"I servizi sociali?" chiedo io. Mai visti né sentiti, non si occupano della situazione. O almeno l'educatore non è a conoscenza. C'è solo una psicologa di un consultorio che da anni segue la famiglia e che cerca di tenere le fila del progetto. Ma i consultori - si sa - non hanno mai molte risorse a loro disposizione.
Il collega è prodigo di informazioni, mi racconta tutte le difficoltà che ha incontrato lo scorso anno (la maggior parte delle quali non derivanti dalla gestione diretta del ragazzo, per quanto questa fosse già complicata di suo), il lavoro che ha impostato, gli obiettivi che ha raggiunto e quelli che avrebbe voluto ma non ce l'ha fatta... Insomma mi propone un quadro globale di quanto è riuscito a fare.
Ma risulta assolutamente evidente fin da subito che questo educatore si è trovato solo a gestire una situazione complessa: una scuola che ha come unico interesse quello di non avere problemi di gestione, una famiglia che riesce a malapena a gestire la quotidianità, una rete di servizi assente o latitante.
"Come sei riuscito a lavorare in queste condizioni?" gli domando... La risposta non arriva diretta ma tra le righe: è andato avanti con le sue sole risorse nell'interesse del ragazzo, cercando di dare il massimo senza avere però nessun supporto dalle altre agenzie che avrebbero (il condizionale è d'obbligo) dovuto sostenerlo.
Sembra apprezzare il mio interessamento, le mie continue richieste di approfondimento... e sembra provare sollievo nel vedere che io rappresento una cooperativa e che quindi l'educatore (chiunque esso sia) che si farà carico di questo bailamme non sarà solo (come si è sentito lui) e avrà le spalle coperte (come lui non le ha avute).
Io resto basito dal suo racconto: non tanto dalla situazione complicata (non è la prima volta che affronto storie multiproblematiche come questa) quanto dal deserto istituzionale che la circonda.
Alla fine del nostro incontro lo ringrazio: per la sua disponibilità, perché ha voluto chiudere con professionalità il suo lavoro, per aver deciso che il prossimo educatore non dovrà ripartire da zero.
Ma in tutto questo ho sempre una domanda che mi martella la testa: dove sono i servizi?
Non lo so, ma so che li andrò a cercare.

2 commenti:

  1. Ti ho fatto quella domanda sul mandato dell'educatore perché credo che questo sia un aspetto molto importante.
    La mia prima domanda: i Servizi Sociali che tu hai definito " latitanti" sono stati messi al corrente di questa situazione?
    Se non sono a conoscenza di questo caso, ovviamente non sono nelle condizioni di poter intervenire.
    Altra domanda: chi avrebbe dovuto o potuto fare la segnalazione? La psicologa del consultorio? ( dovrebbe esistere quel famoso lavoro di rete...).
    Forse anche la scuola ( se al corrente della situazione).
    Ma se nessuno lo ha fatto, rimane l'educatore. Ora mi chiedo, in un caso come questo, l'educatore potrebbe lavorare con la famiglia affinché maturi la decisione di chiedere aiuto al servizio ( sappiamo quanto le famiglie siano spesso refrattarie a rivolgersi all'assistente sociale; per paura, per pregiudizio, a volte a ragione).
    Vado oltre: se la famiglia rifiuta categoricamente questo aiuto, un educatore pagato dalla famiglia stessa, può fare una scelta non condivisa? Mi spiego meglio: io ho lavorato per l'ADM e, quando ho notato qualcosa che non mi quadrava, l' ho immediatamente segnalato. Ma qui la situazione e' diversa. Può l'educatore fare una segnalazione che va " contro" gli interessi o la volontà del suo datore di lavoro?
    Se fossi l'educatore che subentra, mi preoccuperei di stabilire un " contratto" chiaro con la famiglia prima di accettare questo incarico.
    Questo e' il mio modesto parere.

    Anna

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    1. Posto che la situazione sicuramente era conosciuta perché prima di questo intervento educativo c'è stato un inserimento in comunità (quindi un intervento del tribunale per i minorenni) c'è da aggiungere che questo ragazzo ha anche una diagnosi e un'invalidità.
      La scuola e il consultorio sicuramente hanno il dovere di segnalare.
      Io come educatore comunque farei una segnalazione, a prescindere da chi mi paga, perché fa parte della deontologia professionale e soprattutto perché una segnalazione potrebbe portare ad un miglior intervento nell'interesse del minore.
      Certamente il nuovo educatore stabilità un contratto chiaro con la famiglia, con la scuola, con il consultorio e con i servizi sociali comunali.
      Perché se la rete non c'è è anche compito dell'educatore costruirla.
      Secondo me.

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