sabato 8 settembre 2012

Educatori extraterrestri? O fantagenitori?

Leggevo in un blog che seguo la definizione di "educatori del terzo tipo".
Secondo la teoria dell'autore di questo post ci sono tre tipi di educatori: "quelli che lo fanno solo di lavoro, quelli che lo fanno nella vita e quelli che lo fanno sia di lavoro che nella vita".
Questi ultimi sono gli educatori del terzo tipo cioè i geni-educatori.
Visto che faccio parte di questa categoria ho letto con molta attenzione l'articolo e ho condiviso ciò che è stato scritto.
Ma poi mi è venuta una domanda.
Visto che prima di essere un educatore del terzo tipo ero solo un educatore (perché la mia bambina è nata molti anni dopo che ho iniziato questo lavoro) che cosa è cambiato in me con l'ingresso nella nuova categoria?
Certamente ho rimesso in discussione l'èquilibrio tra vita privata e vita professionale: ora non si discute su quando stacco dal lavoro per stare con lei, non ci sono santi (o utenti) che tengano.
Ma aldilà di questo - che è abbastanza scontato - cosa è variato? Ho cambiato le mie modalità educative?
Forse non sono cambiato di molto nelle filosofie e nelle modalità, ma posso affermare senza vergogna che la mia bambina è diventata uno dei miei strumenti educativi preferiti.
Non fraintendete: non la "uso" durante i miei interventi educativi, ma utilizzo la sua presenza come mio strumento. La cito spesso, racconto aneddoti su di lei, sulla nostra relazione, sulle difficoltà che ho avuto come padre, sulle strategie che ho utilizzato...
Perché?
Purtroppo essere un educatore uomo non è sempre un vantaggio. (Aaaaarrrrrggggggghhhhhhh urla di sdegno da parte delle educatrici!!!)
Checché ne dicano le colleghe (e non hanno tutti i torti, sotto alcuni punti di vista) sul fatto che noi maschietti troviamo più facilmente lavoro, questo vale solo in alcuni ambiti.
Provate ad immaginare la prima volta che le mamme mi hanno visto al micronido o nel tempo famiglia... Le loro espressioni erano abbastanza eloquenti: come fa un uomo ad essere in grado di compiere quei compiti di cura esclusivamente deputati alle donne? La mia professionalità veniva messa in discussione prima ancora di essere testata sul campo.
Il mio essere padre, però, mi ha aiutato a superare questa barriera e ha dato la possibilità alle mamme di sospendere il giudizio e osservarmi (e valutarmi) non sulla base del pregiudizio ma solo su ciò che facevo e su come lo facevo.
Ed è stato un successo.
Essere un "educatore del terzo tipo" - quindi - nel mio lavoro è stato a volte un vantaggio.
Ma nella mia vita privata?
Naturalmente alcuni strumenti professionali mi sono stati utili nell'educazione di mia figlia. Ma a nulla sono valsi esperienza, studio, professionalità per superare la paura del diventare genitore. Nulla.
Ma la parte più difficile... è cercare di spiegare a mia figlia che tipo di lavoro faccio, perché vado al parco giochi con altri bambini e non con lei, perché in alcuni momenti mi prendo cura di altri bambini e non di lei.
Per lei - credo - il mio lavoro è come fare "il papà di altri" e non riesce a comprendere perché non faccio il suo papà in esclusiva.
Fin da piccola, dunque, si è sentita raccontare che non tutti i bambini sono come lei, non tutti hanno due genitori che la seguono e che le vogliono bene, non tutti vivono a casa propria, non tutti sono sani... Discorsi difficili, ma affrontati con semplicità, senza nascondere nulla o ammorbidire la realtà.
Perché da geni-educatore vorrei che la mia bambina crescesse in un mondo reale.  E io cerco di presentarglielo in questo modo.
Per quanto difficile da comprendere sia.

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