domenica 30 settembre 2012

Storie... mi raccontate le vostre?

"...
Alessandro chiese ad Ahmed se fosse partito dalla Libia.
- Si -
- E quanto è durato il viaggio? -
- Quattro giorni -
- In quaranta su un gommone per quattro giorni?? -
- Quattro giorni e quattro notti. Con il mare in tempesta. Avevo con me solo una bottiglietta di mezzo litro d'acqua. E il passaporto nascosto nelle mutande, rinchiuso in un sacchetto di plastica perché non si bagnasse. Vicino a me un uomo vomitava, altri piangevano, una donna incinta ha perso i sensi. Un ragazzo è caduto in mare. Era buio e nessuno ha allungato il braccio per riportarlo sul gommone. -
- Tu cosa hai fatto per tutto quel tempo? -
- Ho continuato solo a sperare di non morire. Ti giuro che ho avuto paura di morire. Ero quasi sicuro di morire. Quando sono arrivato a riva, in Italia, ho baciato la terra. Non riuscivo più a rialzarmi. Non ero felice di esere arrivato in Italia. Ho solo pensato 'Non sono morto!'. -
-In quanti siete arrivati in Italia? -
- Credo diciassette. Credo -
Pigiama, sigaretta, denti e cuscino: quella sera Alessandro non ripensò ai ventitre che non ce l'avevano fatta, ai due mesi di carcere che Ahmed aveva passato in Libia perché non aveva il permesso di soggiorno, alle successive difficoltà che aveva affrontato per il viaggio da Lampedusa a Milano o a ciò che aveva lasciato a casa.
Riuscì a pensare soltanto al ragazzo caduto in mare, e alla disperazione di quelli che gli stavano intorno che non erano nemmeno riusciti a muoversi per aiutarlo.
Un viaggio della speranza si era trasformato in un viaggio della morte.
 
- Robert, a quanti anni sei partito dall'Afghanistan? -
- A undici circa, nel nostro paese non sappiamo certamente quanti anni abbiamo. Non esiste un ufficio anagrafe -
- E sei arrivato a sedici... è durato tanto il tuo viaggio per l'Italia! -
- Non sapevo che sarei arrivato in Italia. Sono partito dal mio paese perché là c'è la guerra e non sai se il giorno dopo ti sveglierai oppure no. Non sapevo dove sarei arrivato. Sono stato due anni in Iran, un po' in Pakistan, due anni in Turchia e un anno in Grecia. In ogni paese cercavo lavoro e cercavo di guadagnare soldi. Poi quando mi sentivo in pericolo partivo. -
- Ti piace l'Italia? -
- Non lo so. Non la conosco abbastanza ma qui, per la prima volta nella mia vita, non ho paura. Per la prima volta nella mia vita vado a dormire sereno, spengo la luce e sono certo che domani mattina ti troverò sveglio e berrai il caffé con me. -
Pigiama, sigaretta, denti e cuscino: qualche volta andare a dormire aspettando con gioia il caffé del giorno successivo permette bei sogni, o almeno nessun brutto sogno, a tutti.
..."
"80 km, 2 caselli autostradali, 75 minuti di auto"
A. Curti

 
Quante volte ho sentito storie come queste, simili o anche totalmente diverse. Ma sempre storie vere, di vita vissuta, che descrivevano esperienze che io nemmeno riuscivo ad immaginare o che solo lontanamente conoscevo dai telegiornali o dai libri ma non potevo capire cosa significassero per i singoli individui.
E dopo averle ascoltate, il mio ruolo educativo mi imponeva di affrontarle, capirle, digerirle e offrire una risposta.
Di qualsiasi tipo: a volte la risposta richiesta era solo l'ascolto, altre volte un commento, talvolta un rispecchiamento o una nuova domanda. Sempre però la vicinanza emotiva. Perché quando qualcuno decide di raccontarti una storia così ti sta offrendo un pezzo di sé e questa scelta si accompagna sempre ad un'aspettativa e ad un pizzico di paura.
Offrire qualcosa di sé è sempre "pericoloso" perché ci mette in una posizione di svantaggio: apriamo una porta di noi stessi ma non sappiamo bene che uso ne farà l'altro, come la userà.
E per un educatore un racconto come questo è sempre un'occasione di relazione, che va colta, mai lasciata correre. Carpe diem, cogli l'attimo.
In tanti modi ho affrontato professionalmente queste storie, ma sempre con l'obiettivo di offrire la possibilità di attraversare l'esperienza, utilizzando un dispositivo che permettesse al narratore di rivedere la propria storia da un punto di vista differente - sempre soggettivo - e poterla ricollocare, donarle un nuovo significato o ricercarne nuove possibilità di lettura.
Ma c'è sempre anche il lato umano di ognuno di noi: ascoltando queste storie non possiamo (o almeno, io non posso!) fare a meno di provare delle emozioni, di entusiasmarmi o spaventarmi davanti agli eventi narrati, di soffrire, di ridere, di piangere o di provare rabbia.
Queste emozioni devono però, professionalmente, essere ben collocate sia nella relazione con l'altro che dentro noi stessi.
Per farne tesoro e accrescere il nostro bagaglio di esperienze da riutilizzare nelle future situazioni.
 
Proprio per questo io sono sempre affamato di storie.
In questo blog vi racconto le mie, cerco di utilizzarle per trovare nuove strade o conoscenze per svolgere al meglio il mio lavoro di educatore "del terzo tipo".
Attraverso i commenti dei lettori rifletto, rimugino, rielaboro...
Vorrei però sentire nuove storie, uscire dalle mie esperienze per entrare in altre a me sconosciute.
Mi raccontate le vostre storie professionali?
Così come le racconto io: leggermente contestualizzate, nel rispetto della privacy e leggermente rielaborate.
Se qualcuno avesse voglia di mandarmele via mail io le leggerei volentieri, e qualcuna (con il vostro permesso) la pubblicherei su questo blog, perché possano diventare patrimonio di tutti i lettori e nuova fonte di riflessione.
RicordandoMi e ricordandoVi che mi state donando un pezzo di voi, con le relative aspettative e paure che accompagnano questo percorso.
 
La mia mail la trovate nella pagina della biografia...


3 commenti:

  1. Possono partecipare anche gli educatori degli "altri tipi"? Perché io ci potrei provare ma sono educatrice solo per lavoro.

    RispondiElimina
  2. Un anno fa, dalla narrazione delle storie degli educatori, e' nato un progetto/evento...:Agorà, in collaborazione con alcuni docenti dell'università di Milano. E' bello ri-trovare questa 'idea' qui, nello spazio virtuale.

    RispondiElimina