martedì 28 agosto 2012

Comunicatori tecnodipendenti

Due giorni senza il computer e la connessione ad internet.
Dico: solo due giorni!
E cosa mi è successo? Ero incavolato nero perché non potevo scrivere i miei post e controllare il blog. Come facevo prima dell'avvento della tecnologia? Come mai la rete e tutto ciò che vi è connesso sono così profondamente radicati nella nostra quotidianità?
Computer, internet, cellulare, tablet... tutto rientra nella nostra vita in modo così automatico che quando non l'abbiamo ne sentiamo la mancanza.
O almeno così è per me.
La domanda mi è sorta spontanea: non si può comunicare senza tutta questa tecnologia?
Certo che si può - in questi due giorni ho ovviamente comunicato con le persone che mi stanno intorno - ma non si può negare che il progresso ci offre numerosi e ottimi strumenti per allargare il nostro raggio d'azione.
Le chiacchiere con l'affezionata lettrice (e ormai amica) di Arezzo - non esattamente due passi da casa mia, nonostante volesse venire a mangiare la torta di compleanno della mia bimba - , i commenti della lontanissima lettrice degli Stati Uniti o la meno lontana della Svizzera, la curiosità di verificare ogni giorno se i lettori che il sito mi dice essere in Germania, Russia, Spagna hanno raccolto il mio invito e hanno inserito un loro commento, hanno lasciato un segno tangibile (al di là della fredda statistica) del loro passaggio.
Ormai credo di avere il verme solitario della comunicazione, ne ho così bisogno che se mi manca la mia dose quotidiana vada quasi in crisi di astinenza.
Perché?
La risposta è semplice: ho voglia di comunicare! Ho voglia di esprimere i miei pensieri e di leggere e ascoltare quelli degli altri.
Ho bisogno di questa circolarità ogni giorno, perché la comunicazione mi fa esprimere, mi dà la possibilità di riflettere e di conoscere chi la pensa differentemente da me e quindi mi offre l'occasione di crescita.
Ecco perché non posso farne a meno!
Qualche giorno fa mi facevano (giustamente) notare che in alcuni contesti, per alcune situazioni, è però fondamentale comunicare guardandosi in faccia.
Verissimo, dato che - come già sottolineavo qualche post fa - la comunicazione non passa solo tramite il canale verbale.
Ma quando non è possibile guardarsi in faccia che si fa? Si rinuncia al processo comunicativo?
Assolutamente corretta anche tutta la disquisizione sui limiti della comunicazione online, dei rischi del web e dei pericoli che si possono correre quando la comunicazione in rete sostituisce completamente quella in presenza.
Adolescenti che si rinchiudono nei social network, persone (di varia età) che riescono a dire le cose solo tramite sms o mail... anche io condanno queste estremizzazioni.
Ma la comunicazione - tutta e globale - ritengo sia una parte fondamentale della nostra vita.
E quindi cerco di utilizzare tutti i canali che ho a disposizione.
Mi ritengo fortunato a non essere nato nel Medio Evo!

7 commenti:

  1. Se fossi nato nel Medioevo avresti scritto molte lettere, con una lunga penna d'oca.... ma dato che vivi adesso approfitti giustamente di tutti i mezzi a tua disposizione. E' vero che molta parte della comunicazione passa per canali non verbali però ciò di cui si può parlare è essere più facilmente trasmissibile ed è capace di attraversare grandi distanze nel tempo e nello spazio. Il dubbio che resta è, secondo me, possiamo instaurare un rapporto educativo a distanza, solo su base verbale, senza vedersi o parlarsi a voce? Io penso di no, ma ti passo la palla molto volentieri

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    1. Secondo me dipende dal tipo di relazione educativa che si vuole instaurare. È assolutamente condivisibile che alcune relazioni non possono essere impostate solo sul verbale, ma ritengo che il paraverbale (o una parte di esso) possa passare anche tramite la parola scritta. Non è forse vero che quando leggiamo un libro proviamo delle emozioni? Non è forse vero che mentre leggiamo percepiamo ciò che l'autore vuole raccontare e - al contempo - viviamo il racconto dal nostro punto di vista, con le nostre premesse personali? E questa non è una relazione?
      Io credo - scrivendo - di passare anche la mia emotività, di trasmettere parte di ciò che sono. Ma questo non posso dirlo io e passo la parola a voi.
      Ma, infine, se c'è comunicazione, scambio, confronto e crescita non stiamo parlando di relazione educativa?

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  2. Parlando di relazione educativa avevo in mente un rapporto asimmetrico, un rapporto tra due persone in posizione diversa, non d'importanza ma di ruolo, di potere e di responsabilità. Ci si può prendere cura di un ragazzo solo con le parole scritte? Forse sì ma non basterebbe e taglierebbe fuori molto altro: l'ascolto, lo stare vicini, l'abbraccio, il senso della corporeità, la potenza dell'esempio.
    Tra due adulti che si incontrano in una situazione di parità si può parlare di comunicazione, scambio, confronto e crescita ma, secondo me, non di relazione educativa.

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  3. Certamente la relazione educativa intesa in "senso classico" è quella che tu descrivi, con una posizione asimmetrica. Ed è assolutamente vero che questo tipo di relazione non può essere portata avanti solo attraverso le parole scritte. Anche se lo scritto può essere un buon complemento: un sms mandato in un momento di particolare crisi, una chattata su facebook in una situazione straordinaria... Ed è anche vero che con alcuni ragazzi - che non hanno l'uso della funzione verbale - lo scritto può essere molto utile.
    Ma esiste - secondo me - anche un "senso allargato" della relazione educativa ed è quella che esiste anche nei rapporti non asimmetrici, tra adulti con uguale ruolo. Il rapporto tra un docente e un discente, ad esempio, non è caratterizzato solo dalla trasmissione del sapere ma è connotato anche da tutta una serie di ulteriori componenti che compongono una relazione educativa.
    In questa situazione (quella del blog, intendo) io ho una posizione di "superiorità" rispetto ai lettori: sono io che scelgo gli argomenti dei post, che propongo i temi per le riflessioni... ma nel momento in cui i lettori scelgono di partecipare alle discussioni e ai ragionamenti producono nuovo sapere, che io apprendo. Ma non trasmettono solo sapere, anche il modo in cui lo hanno conquistato, manipolato, variato... proponendo nuove opportunità di apprendimento attraverso la loro persona, le loro esperienze e il loro esempio. E questa non può essere considerata metafora della relazione educativa? Quindi una relazione educativa di secondo livello?

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  4. Una relazione educativa di secondo livello? Volendo sì, la possiamo considerare anche così. Però così rischia di diventare tutto educazione. In ogni cosa nuova che facciamo, o relazione che creiamo ci educhiamo e ci formiamo continuamente. A me piace pensare che il nostro confronto sia realmente alla pari, anzi, preferisco chiamarlo scambio, uno scambio gratuito di ascolto, prima ancora che di conoscenze. Uno scambio di esperienze, di riflessioni, libero e tendente all'apertura perché ogni altro intervento è desiderato ed accolto.

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    1. Come definisci il rapporto tra educatore e supervisore? E tra educatore e formatore?

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  5. Beh sì, in questi casi si può parlare di relazione educativa di secondo livello. Ed è un aspetto veramente importante del nostro lavoro. Penso che mai come nel nostro lavoro c'è bisogno di fermarsi, riprendere le fila di tutto e presentarsi davanti a qualcuno che, anche solo per il fatto di vedere le cose da una certa distanza, sia capace di avere una visione diversa sulle varie situazioni e magari fornire soluzioni alternative che non si riuscivano a vedere.

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