lunedì 6 agosto 2012

Talenti emergenti o presuntuosi?


La gente comune si preoccupa unicamente di passare il tempo; chi ha un qualche talento pensa invece a utilizzarlo.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851



Oggi leggevo su un blog un post sui talenti (http://biviopedagogico.wordpress.com/2012/08/05/talenti-potenti-latenti-e-fetenti/).
Scritto da un pedagogista che ha una passione nella vita: scoprire i talenti, aiutare gli altri a trovare il proprio talento. Tanto che è riuscito a trasformare la sua passione in un lavoro (o ha capito che il suo lavoro è anche la sua più grande passione?).
Mentre leggevo non potevo evitare di ripensare ai 1000 colleghi incontrati in questi vent'anni di professione. Perché? Ma semplicemente perché il cercatore di talenti si è - ovviamente - accorto che alcuni purtroppo il talento non ce l'hanno. E altri, che pensano di averlo, lo cercano, lo cercano e mai lo trovano. E - scriveva il cercatore - qualche volta è meglio consigliare ad alcuni di cambiare strada perché su quella che stanno percorrendo non troveranno ciò che vanno cercando.
Come dire: invece di fare l'educatore vai a fare il panettiere, il giardiniere, l'assicuratore, l'ingegnere... Insomma, non l'educatore!
Sacrosante parole.
Ma andando più a fondo nella riflessione ho dovuto ammettere che la vera domanda a cui stavo girando intorno era un'altra e ben più importante: E io? Io ce l'ho il talento?
Wow: domanda complicatissima perché se rispondo negativamente sconfermo tutto ciò che ho fatto in questi ultimi vent'anni, ma se rispondo positivamente si solleva un coro urlante ("Presuntuoso!!!").
Beh, che sono presuntuoso lo so già quindi fingo di non sentire l'eco del coro urlante e mi rispondo: "Si, il talento ce l'ho!".
Ma forse non è neanche tanto questa la vera domanda, perché - oggettivamente parlando - ho avuto diversi riscontri esterni (e autorevoli, a volte) sulla presenza di questa mia qualità.
Solo per gli scettici (e anche un po' per il mio ego: va bene la presunzione ma a volte bisogna volersi bene!): alla fine dei miei studi universitari - portati faticosamente avanti in parallelo con la professione - chiesi ad una docente che stimavo moltissimo di suggerirmi una seconda laurea, un master, un corso di perfezionamento... insomma una indicazione su come continuare la mia formazione. Ricevetti questa risposta: "Sicuramente non si finisce mai d'imparare ma credo che a questo punto tu abbia anche molto da insegnare. Non pensi sia ora di pensarci?"
E pochi mesi fa - quando mantenere l'equilibrio tra i turni in comunità per adolescenti, le adm, il coordinamento del micronido e la progettazione di nuovi servizi rischiava di minare il mio equilibrio mentale e mi lasciava pochissimo tempo per la famiglia - ho chiesto l'aspettativa dalla comunità il mio capo mi ha risposto con una frase per me irripetibile (perché davvero molto poco "cattolica") che riassumeva tutto il suo pensiero.
Ma torniamo alla vera domanda, senza scivolare ulteriormente sulla presunzione e l'autocelebrazione sterile: posto che il talento ce l'ho, cosa me ne faccio? Come lo uso?
Come declino il mio talento?
E questa è la domanda che tutti, credo, si pongano...
Da vent'anni faccio l'educatore è il mio talento è sempre stato quello di lasciare il segno nelle persone! Nei ragazzi, nei colleghi, negli amici... 
Ma ad un certo punto, dopo tanti anni in una grande organizzazione che non mi lasciava il giusto spazio, mi sentivo un po' come quella cantante con il suo motivetto "E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po'..."
Ho guardato in faccia mia moglie (anche lei educatrice, anche lei in quella grande organizzazione) e con la "scusa" della nascita di nostra figlia e della difficoltà di far conciliare i nostri turni le ho detto "Facciamo noi!"
Ecco: mia moglie sì che ha sempre avuto due (tra i tanti) grandi talenti nella vita. Il primo è di essere perennemente terrorizzata dalle mille idee nuove che mi vengono in mente ogni giorno. Il secondo è di amarmi e quindi fidarsi di me. E questi due talenti mi tengono in equilibrio, con i piedi per terra ma libero di continuare ad avere mille idee nuove al giorno. Tanto con il suo pragmatismo mi permette di concretizzare solo quelle che potrebbero funzionare (anche se lei, pessimista, pensa sempre siano tutte da buttare).
Ma che c'entra tutto questo con il mio talento? C'entra con il fatto che l'oblò è stato aperto e ora non mi annoio più!
Ho progettato, ho osato, ho avviato... E adesso le attività sono tante.
Ma ora vorrei riuscire a fare un passo in più e provare a concretizzare il suggerimento della docente che stimavo tantissimo: sperimentarmi ad insegnare ad altri ciò che io so fare (bene, credo) e ciò che ho imparato in questi anni.
Anche se questa è la parte più difficile perché l'attuale panorama lascia pochissimo spazio alla formazione (soprattutto in termini economici) e la concorrenza è altissima (nonché il livello qualitativo).
Ma ormai l'oblò è aperto.
E a me basterebbe una nicchia... per cominciare.
Il mio talento dovrà fare il resto.

3 commenti:

  1. Macchè presuntuoso! E' più che giusto saper stimare in modo corretto le proprie capacità. E sapere che si è bravi non dovrebbe mai farci dimenticare che si può migliorare. Io però non sono così sicura di avere il talento dell'educare. Se mi guardo dentro percepisco in modo chiaro che questo è l'unico lavoro che voglio fare. Forse sono brava (non ho avuto grandi conferme), sicuramente quello che faccio ogni giorno è il massimo che posso fare.

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    1. Se questo è l'unico lavoro che vuoi fare... probabilmente hai il talento. E non credo che tu non possa fare di più, che questo sia il massimo. Da ciò che scrivi, dal bisogno che senti di migliorarti nel tuo lavoro mi sembra di percepire che non ti accontenti.
      Antoine Albalat in "Diario intimo" scriveva "Avere del talento significa capire che si può fare di meglio".
      E mi sembra che tu voglia sempre fare del tuo meglio... cioè sempre meglio!
      Non credi?

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  2. Quando dicevo che questo è il massimo non volevo dire che non posso fare di meglio ma che quello che faccio è il massimo per quel momento e in quella condizione. Io posso e voglio ancora migliorare, non tanto in termini di efficienza ma di umanità, di ascolto, di sostegno, di fantasia nel cercare nuovi modi di valorizzare le persone che mi sono state affidate. No, di sicuro non mi accontento.

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