giovedì 9 agosto 2012

Il vuoto emotivo: un (non) sentimento possibile?

"Mio padre lo odio. Perché mi picchia e mi mette sempre in punizione. Mia madre la detesto. Non c'è un motivo per cui la detesto. In realtà non è vero che la detesto, semplicemente non provo nessun sentimento per lei. Ho detto una cosa tanto brutta?"

Il buco nero
fonte: Wikipedia

Questo è quanto mi ha detto un ragazzino di 12 anni durante un colloquio. Non era la prima volta che affermava una cosa del genere (almeno la prima parte, sulla quale oggettivamente ha ragione). La differenza sta nel fatto che nelle altre occasioni frasi di questo genere erano permeate di aggressività, rabbia, frustrazione, disillusione.
L'ultima volta non c'era sentimento. C'era solo l'affermazione. Fredda, lucida e autentica.
Cosa non ha funzionato in quel sistema familiare? Quali dinamiche hanno fatto scaturire una dichiarazione così atroce per la sua naturalezza?
Il ruolo del padre è abbastanza limpido, coerente con il personaggio: l'aggressività fisica, le violenze, le punizioni esagerate, il continuo e costante processo di svalutazione, le ingiurie, gli insulti. Questi sono fatti incontrovertibili che possono far scaturire sentimenti aggressivi in un figlio verso suo padre.
Ed è da qui che nasce l'odio.
Ma cosa può far scaturire un vuoto di sentimenti in un ragazzino verso sua madre? Non c'è nemmeno odio, rabbia, frustrazione, disillusione... semplicemente c'è il vuoto, il nulla emotivo.
E quale strano meccanismo psicologico c'è in atto? Quali comportamenti di questa madre (che peraltro appare fortemente impegnata nella gestione del suo cucciolo) lo hanno portato a ciò che suo figlio (non) prova verso di lei? E come può - lei - superare un (non) sentimento così deflagrante?
Un sistema familiare di questo tipo è decisamente disfunzionale se non fa emergere sentimenti di nessun tipo. In un legame così stretto come quello madre-figlio non è possibile (non "dovrebbe" essere possibile) una completa assenza di sentimento.
Nei primi mesi di vita c'è il legame di attaccamento simbiotico, poi subentra l'emulazione, successivamente la differenziazione e la contrapposizione (in adolescenza) per arrivare poi a sentimenti (positivi o negativi) di attaccamento adulto con la rilettura di ciò che è successo in passato.
Tutto il nostro processo di crescita è permeato di emotività che ci lega (e a volte ci fa provare attrito) con le nostre figure genitoriali. Forti o deboli, belli o brutti, intensi o superficiali sono i sentimenti che contraddistinguono le nostre relazioni. Fin dai primi momenti di vita.
E allora che è successo in questo legame? Che cosa è mancato?
Questo ragazzino ha detto una cosa tanto brutta?

7 commenti:

  1. Non credo che possa esistere una tale assenza di sentimento nei confronti di una madre. Penso piuttosto che questo vuoto nasconda un "pieno" di sentimenti così dolorosi da essere annidati in profondità dentro di lui. In questo sistema familiare c'è un padre violento e svalutante ma c'è anche una madre che è parte in causa, anche se non sappiamo in che modo. La famiglia è più della somma dei singoli perché comprende anche i legami che s'intrecciano tra i componenti.

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  2. Perfettamente d'accordo con il commento di Laura...
    Partiamo dal presupposto che in questa storia c'è di tutto tranne un vuoto emotivo o mancanza di emozioni, il protagonista ne ha e forse anche troppe!! ( il vero vuoto emotivo è una malattia molto grave che si chiama ALESSITIMIA, dove il soggetto non riesce neanche a nominarle le emozioni, invece il nostro ragazzino parla molto chiaramente dell'odio verso il padre)
    Secondo elemento importante da tenere in considerazione è come l'aggrssività viene espressa in modo differente, nella magior parte dei casi, dagli uomi e dalle donne: gli uomini sono molto più ficici "mi mette sempre in punizione" le donne usano un aggressività più psicologica e quindi più subdola e più pericolosa, basata sul creare sensi di colpa nell'altro!!
    Se pensiamo al ragazzino, a mio parere, sta mettendo in atto moltissimi meccanismi di difesa per proteggersi dall'aggressività della madre, come se cercasse di creare un muro protettiva tra lui e lei, come dire che ha lui non tocca niente non le fa ne caldo ne freddo!! (assolutamente falso)
    Sicuramente il rapporto è disfunzionale, cosa sia successo o venuto a mancare non possiamo saperlo da queste poche righe, ma per me, si che il ragazzo ha detto una cosa molto grave, ma causa di un accumulo di molta sofferenza ... l'indifferenza è "l'ultima spiaggia" quando anche il "detestarla" non è più sufficiente!!

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  3. Quando il ragazzo chiede "Ho detto una cosa tanto brutta?" Ho l'impressione che si aspetti un rimprovero o una disapprovazione di carattere morale (brutto = cattivo), ma le sue parole non sono brutte in quel senso ma perché rivelano una sofferenza molto profonda. Forse è un caso del "solito", famoso, doppio legame, perché purtroppo è vero che spesso le donne attuano queste modalità di tipo passivo-aggressivo che sono difficili da arginare.

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  4. Non avevo pensato al "doppio legame" ma in effetti dei tratti potrebbero esserci: la comunicazione della madre in effetti è un po' "schizofrenica" (mi prendo cura di te ma ti allontano perchè ho paura di te e - soprattutto - perché assomogli troppo a tuo padre). Se fosse verosimile questa ipotesi come si fa a scavallare questo tipo di dinamica?

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  5. l'unica che può spezzare questa dinamica è la madre...bisogna rendere consapevole la madre delle "cose che fa e dice" per all'ontanare il ragazzo e renderla consapevole che il figlio non è il padre... Attenzione però che bisogna capire se la madre ha le capacità di diventare consapevole ed affrontare una cosa così pesante, perchè stiamo cercando di dirle che sta sbagliando un qualche cosa con suo figlio e che deve cambiare modalità dopo 12 anni!!!

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  6. Temo che per risolvere questo tipo di dinamica sia necessario l'intervento di uno psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale. Non credo che l'educatore abbia la preparazione e la competenza per un simile intervento. Per come la vedo io l'educatore può (deve?) proporsi come adulto di riferimento, capace di creare relazioni positive, non violente e nemmeno ambigue, così da creare uno spazio altro dalla famiglia in cui il ragazzo possa trova una via sua per crescere e maturare.

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    1. Infatti il mio intervento educativo ha come obiettivo proprio questo: pormi come figura autorevole e tenerlo agganciato ad un piano di realtà. L'intervento sui genitori sarà di tipo sistemico-relazionale e individuale. Ma: 1) all'educatore che effettua questi tipi di interventi tocca anche dare delle indicazioni a tutti i servizi coinvolti 2) mi è stato chiesto di effettuare anche dei colloqui con la madre sia di supporto a lei nella difficile gestione del figlio, sia per avere dei riscontri sulla mia relazione con suo figlio e sulle retroazioni che hanno i miei interventi. Per quello sostengo sempre in modo più convinto che in queste situazioni l'educatore-pedagogista debba avere un approccio sistemico e debba porsi come "supervisore" e coordinatore di tutti gli interventi che vengono effettuati. Sempre più spesso - oltre all'intervento diretto con il minore - ho il compito di "tenere insieme" la rete dei servizi coinvolti (facendo incontri con tutti coloro che sono coinvolti). Perché quasi sempre è l'educatore pedagogista che riesce a tradurre per tutti i diversi linguaggi specifici.

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