Said, l’ orco cattivo...
Said è
cattivo, violento, ruba, minaccia, tutti i giorni picchia qualche compagno più
debole, non rispetta le regole, è menefreghista, provocatorio, scorretto.
Said fa il
duro, risponde in modo maleducato, ti manda al diavolo ma non riesce a
guardarti negli occhi, se gli chiedi come sta prende la sedia e ti si piazza
davanti parlando di qualsiasi cosa pur di stare lì con te, tranne forse dirti
come sta, Said fa fatica ad addormentarsi, anche quando è piegato dalla fatica,
si agita e urla durante la notte, ma dice sempre di aver dormito bene. Ha occhi
da bambino in un corpo da uomo, un corpo imponente, muscoloso, forte ma pieno
di cicatrici che raccontano la sua storia...cicatrici di coltelli, di
bastonate, di frustate...cicatrici visibili, segni appena insignificanti rispetto
alle cicatrici più profonde che non si possono vedere, che non si possono
contare, che non si possono spiegare, le cicatrici nel cuore di questo ragazzo
così cattivo, così violento, così arrabbiato...
Lo staff
degli educatori si interroga, c’è chi propone le dimissioni, valutando
giustamente che non si può tollerare oltre, che bisogna tutelare gli altri ragazzi,
che non è educativo non dare una risposta decisa ad un comportamento così
inadeguato...c’è però chi non vuole arrendersi, chi vuole dargli un’occasione
perché, al di là di tutti gli atteggiamenti chiaramente deplorevoli, al di là
di ciò che si può dimostrare, a livello emotivo, di sensazione, d’istinto, ha
‘avvertito’ qualcosa che non deve, non può, non vuole ignorare. Lo staff
discute, si confronta e alla fine, correttamente o meno, sceglie di dare senso
a questa intuizione, emotiva e irrazionale ma abbastanza forte da essere
promossa e difesa, forse quindi anche significativa.
Si pongono
delle condizioni a Said: deve ‘ripagare’ la nostra disponibilità con la sua,
deve accettare di trasformare i suoi errori e le sue difficoltà in risorse,
deve accettare le nostre regole e permetterci di avvicinarci a lui, a quello
che pensa e a quello che prova.
Said accetta
e si impegna a controllare l’istinto all’autodifesa, ascolta i consigli degli
educatori e sperimenta nuove modalità per gestire la sua aggressività: affronta
con più pacatezza gli scontri con i compagni, cercando la mediazione degli
adulti; si confronta con maggior disponibilità con gli educatori, accogliendone
quotidianamente gli stimoli. Si scopre un ragazzo sensibile, molto intelligente,
capace di ironia. Probabilmente costretto a crescere troppo in fretta,
obbligato a imparare presto la legge della sopravvivenza, a colpire per primo
per non essere colpito, all’uso della violenza e della forza per non
soccombere, ha ancora voglia di giocare, di commuoversi, di affetto. Comincia un tirocinio lavorativo come
apprendista verniciatore, riportando risultati talmente positivi che il
responsabile dell’azienda vorrebbe assumerlo in regola, dichiarandosi
disponibile anche per aiutarlo nell’inserimento nella rete sociale del
territorio. Frequenta il corso di alfabetizzazione, dimostrando forte volontà
di imparare e migliorarsi.
Eppure è
ancora sfuggente...i suoi occhi continuano a sembrare pieni di lacrime che non
possono cadere, ancora si ritrae a un contatto fisico che seppur d’affetto teme
come un’aggressione, come un animale ferito che non può difendersi...
Gli educatori
vivono la sensazione di una profonda solitudine, di una paura inespressa che
soffoca Said...cercano un contatto per poter capire, per poterlo accompagnare
nella fatica di sopportare un peso che sembra non abbandonarlo mai...gli
chiedono di fidarsi, di esprimere la sua disperazione, gli offrono uno spazio
esclusivamente per lui. Con molta fatica e vergogna Said racconta che ci ha
ingannati, che ha mentito rispetto alla sua età e che tra poche settimane sarà
maggiorenne. Said sa che il suo compleanno corrisponde alla dimissione, sa che
tornerà per strada a combattere per non soccombere, a dover essere il più forte
e il più cattivo, ad essere solo. Non ha scelta: in Marocco non può tornare, in
Italia non potrebbe stare.
‘Avevo paura
e non volevo che finisse...mi dispiace’.
Gli educatori
non possono fare nulla: la legge è chiara e va rispettata, la mediazione con i
Servizi Sociali è impraticabile, il Tribunale non si occupa del caso. Avvertono
insieme a Said la sensazione di impotenza e di solitudine, si arrabbiano per
l’ingiustizia, per l’assurdità di questa situazione...
Said ha
provato a inventarsi una vita. Voleva poter essere diverso, voleva qualcuno che
potesse amarlo, voleva non doversi difendere, voleva una casa, del calore, una
mano da stringere. Sapeva che sarebbe finito, che era una solo una puntata di
un film molto più lungo...ma voleva viverla comunque. Ora rimane solo lui a far
da autore, regista e protagonista, con il suo corpo da uomo, il suo cuore da
bambino e i suoi occhi finalmente pieni di lacrime...
di Michela
Questo è il racconto di un'educatrice (una collega, ma soprattutto un'amica) che - come me - ha lavorato tanti anni in comunità adolescenti.
Ma non è solo un racconto: è una storia dentro ad una storia.
Perché in queste righe non si legge solo la vita di Said (ovviamente un nome di fantasia) ma anche la lettura che gli educatori danno ai suoi comportamenti e ai suoi agiti.
E tra le parole di questa storia emergono anche i sentimenti degli operatori: paura, rabbia, frustrazione, impotenza... Tutti sentimenti comuni a chi lavora in questo ambito, visto che i "risultati positivi" non si raggiungono quasi mai...
Ma tra tutti prevale - e questa è la fortuna dell'orco cattivo - l'istinto di una persona e la sua caparbietà nel convincere i colleghi che sotto alla corazza c'è dell'altro - appena percepibile - che potrebbe essere importante, una risorsa da non perdere, da non tralasciare.
Nasce come una scelta, ma si trasforma in un atteggiamento. Una modalità di relazionarsi che emerge negli adulti e colpisce Said, fa vacillare la sua corazza, gli permette di aprire uno spiraglio e lasciare che l'altro entri. Superando la paura e le difese imparate sulla sua pelle nel passato.
In poche parole si predispone alla relazione.
E questo gli permette di pensare, ipotizzare, valutare l'idea di un cambiamento. Una diversa modalità di presentarsi e di vivere il mondo.
Ma purtroppo i limiti di contesto rimangono e la storia non cambia.
O forse si?
Forse l'orco cattivo ha subito una trasformazione, interiore e profonda. Probabilmente si è concesso un'opportunità e ha verificato (ancora una volta sulla sua pelle ma, questa volta, senza farsi male) che le occasioni non fanno sempre paura, che il mondo non è sempre cattivo, che non bisogna sempre essere sulla difensiva.
E forse quest'occasione se la ridarà anche in altri contesti, senza abbassare la guardia - certo - ma con la consapevolezza che il rischio vale il traguardo.
Magari questa esperienza lo ha davvero cambiato e l'occasione si è trasformata in una scelta di vita, in una modalità concreta.
Magari... perché Said non lo abbiamo più visto, e non possiamo sapere se la storia si è chiusa con un "...e vissero tutti felici e contenti!".
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